wow! siamo in onda! decisamente antonella vuole far uscire i suoi affezionati “firmini”, appassionati topi di biblioteca, dal cono d’ombra…
è trascorsa una settimana dal nostro incontro all’ora del tè, protagonista kazuo ishiguro e il suo “non lasciarmi”: un libro che ha aperto scenari inquietanti su futuri possibili, ma soprattutto, secondo me, che ha socchiuso qualche finestra interiore, suggerendo riflessioni di interesse umano, di portata ben più vasta e profonda delle pure vicende narrate. per alcuni è stata una lettura ardua, anche da portare a termine, credo per il carico di angoscia che ha comportato, per altri, me compresa, il fascino della scrittura, elegante e precisa, è stato forte e ha lanciato il libro in avanti, fino alla fine, sospinto anche dai trucchi sottili della narrazione e di altrettanto sottili meccanismi psicologici: voglio dire, nella cupezza della vicenda, ciò che “spinge” è il senso di mistero e di aspettativa, nella prima parte e, p’ù avanti, quel filo di speranza che è lo stesso che muove i protagonisti. in definitiva, quello che porta avanti il libro, oltre alla fine scrittura, è il fatto che, dalle prime pagine, passo dopo passo io lettore vengo portato per mano “dentro” i personaggi, partecipando della loro (disperata) umanità. avrei altre cose da dire, ma volevo sentire cosa ne pensate voi.
Piera, grazie, mi sento invitato come tutti a dirti qlcsa. Io della ns. riunione su “Non lasciarmi” (“Don’ t let me go”, il titolo originale, credo volesse esprimere altro) ricordo il pensiero originale fatto da una componente del gruppo, che davvero sempre mi ha sorpreso per i suoi speciali punti di vista, la quale relazionava la vita di qst. ragazzi, pedine di un gioco più grande, a quella di tanti del ns. mondo le cui vite sono decise da altri, a chi si adegua a leggi non sue e purtroppo … così devono, ai ragazzi che si fanno saltare per uccidere, perché a ciò sono stati educati (magari per incontrare poi un certo numero di vergini nell’ aldilà…).
Concordo pienamente con “l’ essere condotti passo passo nei personaggi, nel libro, nel film, essere conquistati”, penso sia quello il successo di un autore; ricordo che così mi sentii, dopo ahimé una cinquantina di pagine faticose, nel leggere “Il sopravvissuto” di Scurati che, dicho sea de paso, non piacque a nessun altro … ! Ciao.
L’ho letto d’un fiato, dopo aver superato il fastidio inziale della suspence non giustificata. Il romanzo, secondo me, si regge benissimo sulla finezza psicologica del racconto e sui suggerimenti di ordine esistenziale che contine. (Ho fatto così: sono andata subito a leggere il finale, peraltro scontato, e poi ho ripreso la lettura liberata dal fastidio). Fatto questo, le vite dei protagonosti appaiono molto simili a quelle di tutti noi, che ci facciamo domande sul senso della nostra esistenza, sul vivere e morire, in una socetà che per paura della morte ci impone l’orrore di agonie infinite. Al di là di questo, ci ho trovato il senso di adesione ad una realtà durissima che non ha alternative, se non illusorie. E questo grazie all’amicizia e all’amore.
Cari amici (soprattutto amiche) dell’ Ora del Té, spero che siate molti a leggere, sempre di +, voglio sottoporvi un dilemma, una cosa che mi fa sentire piccolo, incompetente. Per farlo vi trascrivo un pezzettino del libro che – convinto dai commenti entusiasti del mio gruppo – mi sono messo a leggere, e non so se condurrò a termine l’ impresa, il libro è Fahrenheit 451, a pag. 53 per esempio: “Una serie di colpi di tuono tempestosi si era rovesciata dalle pareti. La musica aveva cominciato a bombardarlo con una tale voluminosa intensità che le sue ossa si erano quasi staccate dai tendini; … Era diventato una vittima cronica dello spostamento d’ aria … si era sentito come un uomo che sia stato precipitato da un burrone, fatto roteare in una centrifuga e scagliato in una cascata precipitante all’ infinito in un vuoto sempre + abissale, senza mai toccare il fondo del tutto, senza mai toccare del tutto il fondo … e si precipitava così velocemente che non si toccava mai nemmeno i lati, non si toccava mai nessuna cosa, mai”. Mi dico e vi dico: ma sono tutte davvero necessarie queste parole?? Si chiama anche retorica tutto questo oppure “licenza poetica”?? Così si riempiono i libri? Certo spesso i tuoni sanno di tempesta, posso immaginare (con fatica) come siano le ossa che si staccano dai tendini, che precipitando non si toccava i lati, nessuna cosa (capito?!, perciò ce lo ripete).
Mah, non so! La mia sarà tutta invidia perché non ho mai scritto un libro, al massimo qualche lettera a giornali che inevitabilmente te la tagliano e ti costringono a rendere molto succinte-stringate- efficaci nel breve spazio di mezzo foglio A4 le lettere successive.
Si, certo! Il libro vale, c’ è Clarissa, c’ è l’ amore per la lettura, la gente che non comunica, non parla se non di “so ‘ndà a Sharm el Sheik, gò fato, gò dito, gò tolto ‘na roba e i me gà fato sconto …”, la televisione che uccide e che non fà porre domande perché dà già tutte le risposte. Però di fronte a una certa leziosità non posso non pensare, è inevitabile, a Firmino (anch’ esso non scherzava quanto a ridondanza), il topo che i libri se li mangiava sminuzzandoli, per fame, erano poltrone-culle che gli servivano.
Per favore, non vorrei sentirmi così duro di comprendonio, ditemi qlcsa.!
Caro Angelo, non voglio lasciare del tutto inascoltato il tuo grido di dolore del 29 gennaio a proposito di “Fahreneit 451” pag.53 ( ma ormai è passato un po’ di tempo e , chissà, il male è passato da solo…) Però… insomma, a me non sembra poi così insostenibile quel passo. Non dico che mi piaccia, ma nemmeno lo trovo ignobile (letterariamente, s’intende): forse è volutamente così amplificato. Però io lo sto leggendo avulso da un contesto che per ora non ho sottomano, e dunque mi fa un altro effetto. Forse bisogna anche tenere presente che di un certo genere di letteratura pur sempre si tratta. E poi, infine: non sarà magari colpa della traduzione?
Contento di averti instillato qualche dubbio, o almeno di essermi fatto vivo,ciao a te e a tutti
Massimo
P:S:Naturale che poi uno può preferire un altro stile:
un piccolo contributo rivolto ad angelo, e scusa se mi inserisco solo ora! io trovo il brano di fahrenheit 451 più che altro terribilmente efficace: quel senso di ridondanza, di esagerazione, di fastidio quasi, è quello che prova il protagonista calato letteralmente in un vortice di sensazioni per certi versi spaventose. mi viene in mente la sensazione di quando stai viaggiando a bordo di un treno e ne incroci un altro: quello squarcio terrificante, per un attimo, che ti sconvolge l’udito, il respiro e l’aria e ti lascia col cuore impazzito, se non te l’aspettavi. trovo l’uso dele parole fatto dall’autore funzionale all’effetto ricercato, funzionale anche al senso di alienazione che coglie non solo il protagonista, che bene o male ci vive dentro, ma anche il lettore, di fronte al mondo descritto nel libro, tanto più inquietante quanto abbastanza “in linea” con il nostro, sebbene in modo esagerato.
poi, come dice massimo, uno può preferire un altro stile…
a proposito di ishiguro (io non sono una fan di questo autore, però mi ha fatto riflettere e questo è bene), senti cosa ho trovato: una citazione che forse può spiegare meglio il titolo (in particolare nella versione originale inglese, never let me go) e che avevo sottoposto al secondo gruppo dell’ora del tè la settimana scorsa
“Continuo a pensare a un fiume da qualche parte là fuori, con l’acqua che scorre velocissima. E quelle due persone nell’acqua, che cercano di tenersi strette, più che possono, ma alla fine devono desistere. La corrente è troppo forte. Devono mollare, separarsi. È la stessa cosa per noi. È un peccato, Kath, perché ci siamo amati per tutta la vita. Ma alla fine non possiamo rimanere insieme per sempre”. (p.286)
è tom che parla. così, “non lasciarmi” è ancora più straziante, un po’ per quel fiume che, comunque, trascina via tutto, un po’ perchè…non è così per tutti noi? allo stesso tempo, però, sembra che davvero l’unica cosa capace di salvarci sia il sentimento per l’altro essere umano. mah…
a presto
piera
inserisco per chi non l’ha avuto il piccolo brano sul “mono no aware”, il sentimento della bellezza e caducità delle cose che bene specchia una parte della cultura giapponese. è tratto dal blog di una ragazza italiana che vive o ha vissuto in giappone, tale stefania, http://stefyinjapan.splinder.com
l’ho scelto perchè, in poche parole, mi ha aiutato a intuire, se non a capire, quel senso di rassegnazione che pare accompagnare molti personaggi dei libri giapponesi che ho letto, un senso che è spesso, come ha detto efficacemente un’amica dell’ora del tè, “mortifero”, ma malgrado ciò e contemporaneamente a questo, comunque non esente dal senso estetico, anzi, pienamente consapevole della bellezza: un abbinamento che a noi potrebbe apparire privo di senso…
A questo mondo umano
effimero somiglia
il fiore di ciliegio:
lo vedo sbocciare e intanto
ecco, già sta sfiorendo.
Anonimo, Kokin Waka Shu
“Se tutto va bene, domani in Giappone i ciliegi dovrebbero essere in piena fioritura. Proprio il giorno dell’equinozio di primavera.
C’era stato un primo annuncio per il 18 marzo, ma poi l’Ente meteorologico ha ammesso di essersi sbagliato. Creando scompiglio, come racconta Renata Pisu su Repubblica.
Episodio emblematico di un paese che ha nella sua tradizione il mono no aware ma che per imporsi e non soccombere ha scelto di diventare la terra della tecnologia, dell’organizzazione perfetta, degli ingranaggi precisi.
Le parole sono lo specchio dell’anima di un paese.
Il Giappone ha termini come mono no aware: parola che nasce dal sospiro di gioia e sorpresa dell’uomo di fronte alle cose, misto alla malinconica consapevolezza della fugacità insita nella loro bellezza. O come hanami 花見: il recarsi ad ammirare la fioritura dei ciliegi. Perchè cosa può essere più mono no aware dell’esplosione di bianco e di rosa dei sakura, con i loro petali pronti a scomparire per un soffio di vento, per una pioggia inaspettata. Sì, i sakura sono belli perchè sappiamo che cadranno. E cadranno sparpagliandosi con il loro verbo, 散る chiru, che non è il normale verbo del cadere.
E tutto questo è 儚い hakanai, il sentimento malinconico dato dalla fugacità, dall’effimero, dalla fragilità.
Mentre l’occidente cattolico si vota alla rinuncia e alla penitenza della quaresima, il Giappone che è nato shintoista prende un telo di plastica blu e festeggia sotto un albero in fiore il miracolo annuale della natura, della bellezza del suo nascere e del suo sfiorire. Mangiando, cantando, bevendo sake in compagnia”.
CREDO SI RIFERISCA ALLA PRIMAVERA DELL’ANNO SCORSO. PER GLI INNUMEREVOLI FAN DEL LIBRO, UNA NOTIZIA FANTASTICA ( :
Il regista Mark Romanek dirigerà Never let me go, adattamento cinematografico del romanzo di Kazuo Ishiguro Non lasciarmi. L’autore di The Beach, 28 giorni dopo e Sunshine, lo scrittore Alex Garland, ha firmato la sceneggiatura del progetto. Romanek è un regista noto soprattutto per i suoi video musicali (dicembre 2008).
non lasciarmi:
se avessi letto questo dolce ma straziante libro,
prima, che nella mia famiglia affrontassimo il grande e doloroso
“problema” dei trapianti,mi sarebbe stato di aiuto…
adesso riflettendodo bene, penso che la famiglia dovrebbe
essere più consapevole e dove è possibile ,”essere”il donatore.
eliminando tutte le incertezze,l’angoscia il dolore,la tua non forza ,
chepassa e ti scaraventa in un vicolo,dove non sai o”non vuoi “andare…
perchè sarebbe veramente più inquietante e non “umano”
se esistesse davvero “UNHAILSHAM”.
grazie fiore.