FABIO BARTOLOMEI: Giulia 1300 e altri miracoli (edizioni e/o, 2011)
Gruppo L’Italia in giallo: 13 DICEMBRE 2012
Il libro
Siamo la generazione del piano B. lavorare in questo paese fa così schifo che, anche se fai il miracolo di raggiungere la posizione per cui hai studiato dopo due anni ne hai le palle piene e inizi a elaborare il tuo piano B. Quasi sempre si tratta di un agriturismo, questo quando allo schifo per il lavoro si aggiunge lo schifo per la città. È il miraggio di una vita migliore, più sana , con più tempo a disposizione…
E così, per mettere in atto il loro piano B tre quarantenni un po’ vitelloni si trovano davanti ad un grande casale in vendita in una zona collinare della Campania. Non si conoscono, sono partiti dalla loro regione separatamente e si sono incontrati per caso in attesa dell’agente immobiliare. Ciascuno ha le proprie personali ragioni per desiderare quel casale, sognare la via di fuga, immaginare la propria palingenesi nelle vesti di ristoratore Perciò, pur tra reciproche diffidenze, velate antipatie e sotterranee tensioni, quando scoprono che individualmente non potrebbero mai sostenere la spesa, finiscono col mettersi in società e gettarsi insieme nell’avventura, unendo le forze e le rispettive incompetenze. È un gesto incredibile e rischioso, di cui sono solo vagamente consapevoli, e che affrontano ora con baldanza, ora con perplessità, talvolta persino con fatalismo, in rapporto alle diverse personalità. Che siano diversissimi uno dall’altro, in effetti, è subito evidente, ma un dato li accomuna: un bilancio esistenziale e professionale fallimentare, una situazione di stallo e di insoddisfazione ormai insopportabile.
Claudio è quello a prima vista più debole e insicuro, pieno di fisime e paure ereditate dalla madre, convinta che tutto debba sempre finire in tragedia. È riuscito a rovinare un’azienda familiare già fiorente e si è fatto abbandonare dalla moglie, che gli ha preferito un tipo più affidabile, mentre lui ancora vagheggia un’improbabile riconciliazione. Insomma, un catalizzatore di fregature per sua stessa definizione. Agli antipodi, Fausto: un condensato di testosterone, fascista, razzista, ignorante, becero, millantatore di inesistenti capacità professionali e amatorie. Conduce televendite ai limiti della truffa ed ha tante buone ragioni per mollare tutto e sparire dalla circolazione. È il personaggio umanamente più squallido, ma anche quello da cui scaturiscono le battute più divertenti e le situazioni più esilaranti. Diego invece è (era) un venditore di automobili: abile, freddo, spietato nell’osservare le debolezze dei potenziali acquirenti per sfruttarle nelle trattative di vendita. Disincantato e addirittura cinico nelle relazioni con le donne, si ritrova emotivamente indifeso quando riscopre tardivamente il rapporto affettivo col padre morente, che l’aveva abbandonato e che – forse immeritatamente – riceve nei suoi ultimi giorni di vita amore ed assistenza da un figlio finalmente appagato nella sua conquistata identità familiare. Diego è il più intelligente, o forse soltanto il più lucido dei tre e sarà proprio lui a raccontare e commentare l’intera vicenda, in cui a situazioni private e fatti banali si intrecciano temi di più ampio respiro e problematiche sociali e politiche dell’Italia contemporanea.
La sistemazione del casale e l’avviamento dell’agriturismo procedono tra errori, pasticci e manifestazioni di varia imbranataggine, mentre intanto il rapporto fra i soci subisce una lenta evoluzione che, anche (ma non solo) per far fronte a frequenti episodi di emergenza, si avvicina alla solidarietà e all’amicizia. Ad ingrossare il gruppo verrà poi un quarto personaggio, Sergio, un energumeno tutto muscoli, partito bellicosamente in cerca di Fausto che gli deve del denaro, ma poi deciso ad entrare in società e a fermarsi con loro. Come apprenderemo verso la fine del libro, anche lui, comunista duro e puro sbattuto nel pieno della società consumistica, deve reggere il peso di una duplice delusione, sentimentale ed ideologica. Il suo arrivo risolverà comunque molti problemi di carattere operativo, perché, con la sua forza, con l’abilità manuale ed anche col rozzo senso pratico che sembra mancare completamente agli altri, egli sarà in grado di sbloccare molte situazioni apparentemente senza via d’uscita. È però l’ultimo acquisto quello che farà davvero la differenza, permettendo il salto di qualità per cui il Casale de’ Pazzi potrà definirsi un agriturismo di tutto rispetto. Si tratta di Elisa, ex dipendente del supermercato di Claudio, assunta in qualità di cuoca e massaggiatrice, e presto divenuta di fatto una sorta di supervisore generale dell’attività (nonché oggetto dei sogni di Diego). A rendere preziosa la sua presenza, sono però soprattutto le doti umane, per cui, con schiettezza mista ad ingenuità e spirito critico, la ragazza corregge le scelte maldestre dei soci e ridona un senso a fatti e azioni, riportando gli uomini ad un più corretto modo di rapportarsi.
Fin qui gli abitanti e gestori del casale. Ma tutta la macchina messa in piedi, non potrebbe reggersi senza l’aiuto di Abu, Alex e Samuel, tre giovani immigrati ghanesi, ingaggiati per la raccolta dei pomodori nei campi confinanti coll’agriturismo. Sono loro ad aiutare in tutte le fasi della vicenda, dai restauri, alle informazioni sulle voci di paese, fino alla complicità nelle decisioni più estreme e discutibili. Competenti, infaticabili, generosi intervengono e aiutano spontaneamente, senza chiedere nulla. Riceveranno ammirazione e una riconoscenza sempre più sentita, persino dal razzista Fausto, che a modo suo alla fine sentenzia: Grande Abu. Due palle così.
Tutto bene, allora? No, perché siamo in Campania e in Campania c’è la camorra che chiede il pizzo. Ad esigere il dovuto si presenta prima Vito, un malavitoso un po’ Merola un po’ Manero, sbarcato da una Giulia 1300 d’epoca la cui radio sforna a tutto spiano musica classica, di cui il vecchio è esperto ed appassionato. La risposta dei soci sarà molto sui generis: sequestro e occultamento nella taverna del casale. Stessa sorte capiterà in sequenza anche ai due delinquentelli venuti a cercare Vito e poi, dopo un certo tempo, a Franco, un boss ben più pericoloso dei precedenti. Uno dopo l’altro i camorristi finiscono dunque segregati, mentre la Giulia di Vito viene sotterrata con l’aiuto di Abu.
E qui si verifica il primo miracolo del titolo: la batteria nuova della macchina non vuole saperne di esaurirsi e dalla radio, rimasta sintonizzata sullo stesso canale, arrivano, a sprazzi, brani di sonate e concerti. Associata ad una bislacca leggenda esplicativa, questa particolarità sarà trasformata in attrazione per gli ospiti, orami sempre più numerosi. Così, mentre in realtà si sta vivendo una situazione estrema e pericolosa, il Casale de’ Pazzi, diventa, nel passaparola dei clienti, l’agriturismo della musica prodigiosa.
Questa del sequestro dei camorristi è una trovata imprevista e significativa, per quanto inverosimile. Tanto più che Vito a poco a poco finisce per affezionarsi ai suoi sequestratori, li aiuta, li consiglia, li mette in guardia rispetto alle usanze della camorra, ricevendone in cambio rispetto e quasi una sorta di affetto. A loro volta i due camorristi giovani, visti con un misto di timore e comprensione, godono di un trattamento di favore destinato a prevenirne eventuali ribellioni, al punto che non desiderano più andarsene. Anche perché per la prima volta nella loro vita – e paradossalmente proprio mentre vivono segregati – sperimentano la condizione di uomini liberi senza i vincoli imposti dalla gerarchia malavitosa. Non altrettanto può dirsi però di Franco, che, diversamente dagli altri, non è un pesce piccolo, anzi, è uno che conta, abituato a comandare e per nulla disposto, ora, ad inserirsi pacificamente nello strano ménage che è venuto a crearsi nel casale. Sarà infatti proprio lui a far precipitare la situazione aprendosi la via di fuga con le armi in pugno, mentre intanto in paese ha inizio il regolamento di conti tra famiglie della mala, come era stato previsto dal saggio Vito. E se questa battaglia si svolge secondo rituali consolidati e ben noti a chi è addentro all’ambiente, nel frattempo l’inutile intervento della polizia copre e mette in atto una retata contro i braccianti africani, le vere vittime designate. Parecchi di loro, fra cui Alex e Samuel, restano uccisi. Abu si salva e, pur nella estrema precarietà della sua condizione, si avrà il coraggio di portare avanti la protesta per chiedere tolleranza e giustizia.
Così in un crescendo drammatico si giunge alla conclusione del libro. Frettolosamente, convulsamente, ma ancora una volta aiutati dall’amico ghanese, Diego e gli altri si dispongono a fuggire con la Giulia 1300 messa a disposizione da Vito e dissotterrata in una lotta disperata contro il tempo. Fuggono per evitare la vendetta della camorra, per non vedere il disastro del casale e del loro sogno di rigenerazione bucolica. Ma poi…all’insaputa l’uno dell’altro, tacitamente, senza avere il coraggio di confessarlo ad alta voce, ciascuno col proprio stile, tutti si preparano a tornare…
Qualche riflessione
Giulia 1300 e altri miracoli è stata una gradevolissima scoperta. Fabio Bartolomei dimostra qui come si possa scrivere con mano leggera senza cadere nella banalità o nel qualunquismo, e come, sorridendo, si possano presentare al lettore svariati spunti di riflessione su argomenti della massima serietà.
La struttura lineare è appena increspata ed impreziosita dall’introduzione, all’inizio e alla fine, di brevi capitoli (Luci di…) in cui separatamente ciascuno dei protagonisti parla di sé, disegnando in questo modo i contorni e caratteri della propria esperienza. Essendo poi l’intero racconto affidato a Diego, la narrazione si mantiene sempre in prima persona, con questa leggera variazione che non ne pregiudica la chiarezza. Anche il linguaggio è accessibile, spesso colloquiale, ma mai sciatto né banale. Molto vicino al parlato in alcuni tratti, raggiunge vertici di grande espressività negli inserti in napoletano riservati ai camorristi, specialmente quelli affidati a Vito, uno dei personaggi più riusciti del libro. A Bartolomei, del resto, va il merito di aver saputo dare spessore e dignità a tutti i personaggi, anche quelli minori, costruendone una dimensione umana spesso dolente o comunque complessa (si pensi non solo agli immigrati, ma anche ai due giovani malamente) che si traduce in ulteriore valore del testo. Tutti insieme queste figure compongono un mosaico da cui si evince l’invito dell’autore ad una maggiore consapevolezza ideale e civile.
È questo, secondo me il senso, il messaggio forte del libro, che letterariamente può essere letto come un vero e proprio romanzo di formazione. I protagonisti, inizialmente nutriti a stereotipi culturali, cresciuti nel loro egocentrismo e tanto condizionati da scambiare uno status symbol per un’imperdibile meta esistenziale, sapranno poi scoprire altri valori e sentimenti, aprendosi alla solidarietà, all’amicizia, persino all’amore e all’impegno civile. Così quella combriccola di sfigati, inconcludenti, confusi, infarciti di luoghi comuni e pregiudizi (soprattutto, ma non solo, Fausto), diventeranno alla fine esseri autonomamente pensanti, cioè uomini veri. Sono loro stessi a dirlo nelle pagine conclusive del romanzo e mi piace qui riportare le parole di Diego:
Ci sarebbe bastato seguire dei modelli fatti di pensiero e di ideali, non di soli pixel, e aver avuto dei sogni che fossero davvero nostri, partoriti dalle nostre ambizioni e non dalla sala riunione di una multinazionale. Adesso saremmo un gruppo di normalissimi essere umani che se la fanno sotto dalla paura ma hanno le palle per giare la macchina e tornare indietro. Però chissà. La nostra storia non è finita. Questa giornata, poi, è appena iniziata.
Gli altri miracoli a cui allude il titolo, oltre a quello della musica dal sottosuolo, sono appunto questi. Così si spiega come il quadro finale, nonostante l’esito catastrofico degli eventi, possa essere positivo e fiducioso nel futuro. Non so se personalmente riesco a condividere tanto ottimismo, però penso che sì, se la letteratura oggi ha ancora un ruolo, questo consista nell’infondere un po’ di speranza. Insomma un bel libro, da leggere e su cui soffermarsi a pensare.