Stefania Aphel Barzini è sicuramente nota in Italia come coautrice del famoso canale televisivo telematico “Gambero Rosso Channel”, e come collaboratrice di varie riviste del settore. Ha studiato Lingue e Lett. Straniere ed ha vissuto parecchi anni a Los Angeles dove ha iniziato ad occuparsi di cucina collaborando con L’Istituto Italiano di Cultura ed insegnando in corsi di cucina italiana per stranieri, scoprendo così che il binomio cucina – cultura era la sua vera passione, tanto che, tornata in Italia, ha aperto una scuola di cucina, sempre per stranieri, a Ceri, vicino a Roma.
Non ha scritto solo libri di ricette ma anche romanzi e parecchi saggi, vedi per es. “Così mangiavamo”, una vera e propria opera storica e di costume, dove racconta in modo ironico e intelligente 50 anni di storia dell’italiano medio.
Da ricordare anche “La scrittrice cucinava qui”, dieci biografie “gastronomiche” di altrettante celebri scrittrici che hanno avuto con il cibo un rapporto importante, spesso conflittuale. Ciò che caratterizza i suoi scritti, infatti, è la grande capacità di mescolare insieme, curiosamente, autobiografia, storia, cultura, lingua, ricette, mode.
L’idea del romanzo “L’ingrediente perduto” – dice l’autrice in un’intervista – “è nata dai miei anni americani, in cui mi sono avvicinata alle sofferenze e ai problemi degli italiani d’oltremare, dal desiderio di raccontare quell’esperienza per una volta al femminile perché nelle saghe italo -americane le donne sono sempre defilate, mai in primo piano, eppure la loro è stata una battaglia difficilissima…. E’ nata dal desiderio di ricordare, di non cancellare le memorie, le esperienze, le difficoltà del nostro passato. Stiamo dimenticando molto noi italiani e un popolo senza passato non ha futuro.”
Questi desideri, sommati ad un grande amore per le isole Eolie, hanno dato vita ad un testo che è un imponente affresco storico –sociale che, attraverso la descrizione delle vicende personali delle protagoniste, attraversa un intero secolo, dagli inizi del Novecento fino alla fine degli anni ottanta.
Vengono toccati molti temi fondamentali della nostra storia:
• emigrazione anni ’20 (Rosalia) e difficoltà all’integrazione nel paese straniero, mancanza di mediazioni, difficoltà con la nuova lingua.
• rifiuto delle radici, del passato (Connie), anni 30 – 40, spaccatura tra due mondi tanto diversi, incapacità di unirli con armonia,
• desiderio di libertà (Sandy) anni 60, pacifismo, figli dei fiori, droga, le comuni, no alla guerra del Vietnam, ferita generazionale che non si rimargina.
• mediazione tra passato e futuro (Sarah) anni 80, comunicazione tra diverse generazioni.
In tutto il libro c’è un simbolico molto forte: il titolo “L’ingrediente perduto” che significa identità negate, radici spezzate, rifiuto del passato, cibo dimenticato o travisato, il piatto forte “la parmigiana” che rappresenta l’isola: nere le melanzane come la terra di Iddu, il vulcano, rosso il pomodoro come la lava, bianco il formaggio come la spuma bianca delle onde del mare e verde il basilico come le pale dei fichidindia. E la padella di ferro: con la consegna di questo umile oggetto da cucina nonna Concetta consegna a Rosalia una preziosa eredità, le sue radici e le sue tradizioni, con il monito di non dimenticarle una volta lontana.
Poiché il cucinare è anche un modo di conservare e tramandare il passato, un modo per ricordare, un modo per comunicare amore ma anche odio e passioni. E il mare, che ti culla, che ti accarezza, ti avvolge come una madre amorevole quando è calmo o che ti distrugge come un dio arrabbiato, portandosi via anche la vita, quando è in bufera.
Notevole e suggestivo il ruolo, nella prima parte del libro, della natura selvaggia e incontaminata, tipica dell’isola, della luce del sole, dei colori forti, dei profumi, dei sapori, dei suoni. Lontano dall’isola, per Rosalia, protagonista principale, tutto diventerà scialbo e finto, fino a perdersi come lei stessa, secondo un destino crudele che sembra condannare le tre donne, nonna, madre e nipote, a non incontrarsi mai. Tre meteore che hanno rincorso la stessa orbita. Ma alla fine è il turno di Sarah, la pronipote, toccherà a lei riunirle, fare quello che loro non sono state capaci di fare in vita. Le riporterà sull’Isola. Le salverà dal più terribile dei destini, quello di essere cancellate come non fossero mai esistite. Sta a lei capire il passato, il loro, per poter vivere il futuro, il suo. A pensarci bene la vita è un susseguirsi di scelte quasi elementari nella loro semplicità. Siamo noi spesso, a ingarbugliare ogni cosa.
Manuela Dal Soldà
“L’ingrediente perduto” è un romanzo da leggere prima di tutto con il cuore. E’ un percorso da fare interamente, lasciandosi trasportare attraverso il dolore e la sofferenza delle protagoniste per capire il dolore e la sofferenza di chi è vissuto nei periodi storici raccontati.
Leggendo mi sono a tratti ritrovata in questa singolare ricerca di identità, nel desiderio di non cancellare le memorie, le esperienze del passato, nel desiderio di riunire armonicamente la genealogia.
Ho amato Rosy bambina, che corre libera nella sua isola, a contatto con una natura selvaggia ma ricca di sapori, profumi e colori forti, e che deve abbandonare tutto per finire confinata tra le mura di un mondo a lei estraneo.
Ho sofferto per Connie che non ha saputo mediare i due mondi, le due culture, e negando il passato si è ritrovata a vivere una vita finta, piena di inganno, così ha perso i ricordi e sè stessa.
Ho pianto per Sandy, la generazione che voleva cambiare il mondo negando ogni regola, ed è vissuta sull’orlo del precipizio finchè quel baratro non l’ha inghiottita; che non ha capito che ombre e luci, realtà e fantasia, possono convivere senza combattere.
Ho provato tanta simpatia e tenerezza per Sarah, l’unica che saprà ritrovare un equilibrio, rimettendo ordine tra passato, presente e futuro. Lei incarnerà quella comunicazione che non è mai esistita tra le donne che l’hanno preceduta, facendo riaffiorare alla fine “l’ingrediente perduto”.
E tutto passa attraverso il cibo. Cibo non solo come un modo per conservare e tramandare il passato ma cibo come condivisione, poichè attraverso il cibo non passano solo gusti e sapori ma anche storie, emozioni, paure, dolore, sentimenti e un pizzico di ironia.
Attraverso il cibo insomma passa la vita.
Manuela Dal Soldà