L’amore è idrosolubile

FULVIO ERVAS: L’amore è idrosolubileMarcos y Marcos, collana Gli alianti, Milano 2011

Incontro con l’autore
Biblioteca Comunale di Spinea
giovedì 11 aprile 2013 ore 20.45

UNO SCHELETRO DI TROPPO

Quando nella campagna intorno a Morgano affiora uno scheletro che ha tutta l’apparenza di essere vecchio, sono in molti a pensare che si tratti dei resti di Alice Beltrame, una donna di Treviso scomparsa dieci anni prima e mai più ritrovata. In realtà non c’è nulla di chiaro né di sicuro. Gli elementi che porterebbero ad escludere questa ipotesi sono numerosi quanto quelli a favore, a partire dai dati emersi dall’autopsia e dai rilievi della scientifica, fino ad altri indizi e riscontri più informali che vengono via via a sovrapporsi. Così il caso che all’inizio sembrava persino banale nella sua apparente semplicità diventa sempre più oscuro e complicato: nulla si può escludere, nulla si può confermare.

L’ispettore Stucky, l’investigatore mezzo veneziano e mezzo persiano (con caratteri ormai noti, per il fatto di appartenere ad una serie) è incaricato delle indagini, ma brancola nel buio, tra imprevisti, rivelazioni, smentite, falsi allarmi e apparizioni. Se la prova da superare è identificare lo scheletro, il che significherebbe in ultima analisi scoprire che fine ha fatto Alice, egli in effetti può contare su un vasto e vario assortimento di aiutanti, veri e falsi (per dirla con Propp); peccato che le loro informazioni si annullino a vicenda.

Anche a voler ignorare un misterioso confidente telefonico, come sottovalutare le due veggenti visitate dalla Madonna, che non disdegna di fornire consigli per la soluzione del caso? Poi c’è Michelangelo, un ragazzo poco studioso ma dotato di intelligenza vivace, e soprattutto di uno spirito irriverente che lo porta ad iniziative off limits, da lui definite instabilizzanti. Proprio queste, per quanto discutibili, si riveleranno alla fine, un po’ volutamente e un po’ per caso, fonte preziosa di scoperte utili all’indagine. Infine – ma è in realtà l’elemento più significativo – è la volta di una serie di fogli manoscritti che periodicamente invadono le strade di Treviso. Sono pagine di un’agenda, in cui qualcuno che si firma “Alice” descrive l’indole ed i comportamenti dei suoi numerosi amanti, tutti presumibilmente molto in vista in città: in esse il banchiere, l’avvocato, l’ingegnere, ecc. non vengono esplicitamente nominati, ma adombrati ciascuno sotto la forma di un insetto, scelto di volta in volta per analogia con le caratteristiche dell’uomo.

Da queste analisi lucide e talvolta spietate emerge però con pieno rilievo anche il ritratto di Alice, la vera protagonista del libro, seppure in absentia: una donna affascinante e apparentemente sicura di sé, imprenditrice di successo, amante disinibita e capace di elaborare spregiudicate fantasie. Ma anche, sotto le apparenze più superficiali, una personalità inquieta ed insoddisfatta, delusa dalla pochezza degli uomini, dalle molteplici avventure di  cui è interprete e regista, in sostanza, da tutto quello che è diventato la sua la vita: un’esperienza densa di fatti, ma in fondo vuota e inconsistente. Al punto da progettare la fuga in un “altrove” non  identificato, ma certamente lontano da tutto e da tutti. Lontano anche dalla famiglia, o da ciò che ne resta: una madre forse affettuosa, ma irrimediabilmente svampita e una sorella maggiore che è il suo opposto. Insignificante, repressa, inacidita da anni di frustrazione e di invidia nei confronti della sorella minore più bella e disinvolta, la professoressa Beatrice Beltrame è un personaggio psicologicamente interessante, e non a caso si rivelerà fondamentale nella vicenda.

 Aperte tutte con la bizzarra affermazione divenuta poi titolo del  libro, le osservazioni contenute nell’agenda di Alice non solo forniscono all’ispettore alcune piste da seguire, ma costituiscono dal punto di vista narrativo un’invenzione originale, che diventa il filo conduttore della storia. Naturalmente non è qui il caso di svelare il seguito della trama.  Nonostante qualche cantonata presa per strada, e avvalendosi più di intuizioni e coincidenze piuttosto che di un percorso investigativo sistematicamente condotto, Stucky ad un certo punto arriverà alla soluzione del caso, com’era prevedibile sin dall’inizio. Il mistero richiesto dal giallo comunque è rispettato fino alla fine, quando emergerà la verità e  se ne scopriranno i risvolti umanamente dolorosi ed anche un po’ inquietanti. Proprio per questo, ho percepito un contrasto non del tutto gradevole rispetto al tono prevalente della narrazione, che è frizzante, semiserio e addirittura con alcune incursioni nel comico. Mi sembra una disarmonia che non riguarda la trattazione di argomenti gravi in chiave ironica (scelta sempre possibile e artisticamente apprezzabile), ma consiste piuttosto in oscillazioni fra registri stilistici diversi forzatamente accostati.

Questa mancanza di coerenza espressiva rende un po’sfilacciata la narrazione e ne offusca l’atmosfera. Tanto più che alla vicenda principale e ai suoi protagonisti – gli uni e gli altri ben costruiti e tratteggiati – si affianca una serie di elementi secondari fatta di episodi, temi e personaggi non necessari né pertinenti, anche se in sé potrebbero risultare divertenti. Oltre all’immagine di Alice, distante ma intensa, Stucky infatti  convive con numerose figurine che non superano il livello della macchietta o addirittura rasentano la caricatura. Sto pensando a Elena e alle sorelle del vicolo Dotti, o all’anziana madre di  Alice e allo stesso Michelangelo, l’adolescente ribelle che, pur con alcuni tratti psicologici molto riusciti, risulta poi poco convincente quando questi sono marcati fino all’eccesso. Questi personaggi minori intervengono in episodi marginali, talvolta paradossali, talvolta un po’ prevedibili e di maniera, contribuendo per di più a diluire l’effetto suggestivo dell’ambientazione in quella provincia di NordEst, perbene ma inquieta, di cui tanto si è parlato a proposito di altre opere di Ervas.

A mio parere, dunque, il libro avrebbe guadagnato in efficacia con una maggiore uniformità di piani espressivi e con un tessuto narrativo più semplice e compatto che consentisse  un ritmo più fluido e arricchisse le potenzialità connotative del racconto. Insomma, lo scrittore ha elaborato qui un romanzo ambizioso, variegato e complesso. Ma non tutto era indispensabile.
Daniela Palamidese

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*