L’ultima eredità

VALENTINA PATTAVINA: La libraia di Orvieto. L’ultima eredità, Fanucci, Roma 2011

 

 

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La libraia di Orvieto ha un seguito, intitolato L’ultima eredità ed uscito nel 2011, ad un anno di distanza dal primo volume. Diciamo subito che non si tratta di un vero e proprio seguito, perché non è la continuazione della vicenda precedente, anzi i due libri sono completamente autonomi, né è necessario aver letto il primo per comprendere il secondo o per collocare personaggi e situazioni nel giusto contesto. Direi che siamo piuttosto all’inizio di una serie. Il legame fra i due testi è dato, infatti, oltre che dalla comune appartenenza di genere, la black comedy, dalla medesima ambientazione e dalla presenza degli stessi personaggi, a cominciare dalla libraia Matilde, che già aveva ricoperto un ruolo da vera protagonista, mentre ora appare un po’ defilata, inserita in un discorso narrativo che diventa prevalentemente corale. Sarà forse perché sembra aver raggiunto una qualche forma di serenità che rende meno pressante – e testualmente meno rilevante – la riflessione sul proprio disagio esistenziale e il recupero memoriale dei fatti che l’avevano determinato.

Tra le figure di contorno ritroviamo il professore strambo e gentiluomo, Giorgina, innamorata gelosa e vendicativa, Alfredo, l’oste blasfemo e mangiapreti, qui temporaneamente (solo temporaneamente!) pentito e ardente di spirito cristiano. E poi Michele, nipote del professore e giornalista di scarso successo, Maria ed Elvira, le due sorelle ricamatrici e rompiscatole, Adelina e Filippo, proprietari dell’erboristeria e amici del gruppo. Né mancano Doris e Lessing, i due lupetti trovatelli e pestiferi, il cui nome costituisce una delle idee più carine di questi libri.

Tra i personaggi nuovi quello più di maniera è forse Cosetta, cantante di operetta, attempata ma ancora sulla cresta dell’onda e soprattutto dotata di una sua fascinosa grazia, se riesce a far perdere la testa al professore (Sergeij caro, dice lei) provocando non la semplice gelosia, ma un’ira autenticamente funesta in Giorgina. Spodestata dal suo precedente ruolo nel cuore dell’innamorato, ormai ex per lei, non esita a ricorrere alla magia nera per eliminare la rivale. E poi c’è la storia commovente di Cecio,  figlio di una povera donna piena di guai, il quale viene accolto in libreria all’inizio solo per compassione e poi per affetto, un piccolo Gavroche che porta Matilde e soprattutto il professore ad improvvisarsi maestri, con una didattica perfettamente efficace, per quanto basata più sul buon senso che sulla teoria pedagogica.

Ma il legame tra le due componenti della storia, il black  e la comedy è dato specialmente dal recente fidanzato di Elvira, la più insofferente e birichina delle due zitellone, che si è stancata della sua condizione di single e vuole godere finalmente una botta di vita con un uomo. Nomen omen: lui si chiama Regolo Maltagliati, che fa il… parrucchiere. Strano personaggio, quest’ultimo: non cattivo, ma rozzo, ignorante, becero, e soprattutto oberato dai debiti. E proprio il tentativo di risolvere la sua situazione economica diventerà fonte di guai per tutti.

La storia vera e propria ci riporta alla seconda Guerra Mondiale, che non ha risparmiato nemmeno Orvieto, benché la città non si trovasse  sulla linea del fronte. All’epoca un uomo si dà alla borsa nera, lucrando spietatamente sulla fame e sulla disperazione dei concittadini. Ma poi, verso la fine del conflitto, quando i rapporti di forza si rovesciano e all’ordine del giorno compaiono  vendette e rappresaglie, il timore lo spinge a nascondere il malloppo malamente accumulato seppellendolo in un cimitero. Proprio mentre è intento a questa operazione, è sorpreso da un bombardamento e ne rimane ferito gravemente. Sopravviverà comunque, e molti, molti anni dopo, quasi centenario, confesserà a qualcuno il suo segreto. Chi raccoglie la confidenza delirante e allucinata del vecchio moribondo, pur tra dubbi e perplessità, non sa resistere alla tentazione di cercare quel bottino. Ma cercare dove? Si apre così un’autentica caccia al tesoro, frenetica  quanto inconcludente. Perché chi cerca non sa che… Il destino ha deciso di giocare una beffa e per realizzarla ha scelto un motivo banalissimo, futile e persino ridicolo, ma decisamente fatale… Naturalmente non andiamo oltre.

Anche in questo libro, come nel precedente, è adottata la struttura “a cornice” , per cui un prologo ed un epilogo, entrambi in forma di flash back, racchiudono il corpo centrale del testo. Questo a sua volta si apre e si chiude col medesimo motivo narrativo, all’insegna del fuoco: un incendio devasta l’osteria di Alfredo all’inizio, un incendio distrugge addirittura la libreria di Matilde alla fine. Fuoco dell’incendio, fuoco delle armi: questo sembra essere l’elemento chiave del romanzo.

C’è una certa forzatura e parecchia inverosimiglianza, soprattutto in alcuni particolari, e sono  caratteristiche vistose soprattutto perché altri episodi e l’impianto generale puntano invece sul registro espressivo del realismo. Va però dato atto alla scrittrice  di aver  saputo mantenere il mistero fino alla fine, orchestrando con abilità la  rivelazione finale, che non manca di una certa originalità. E va anche detto che, a conclusione del libro, quell’insieme di elementi eterogenei che costituiscono la black comedy, e che a prima vista apparivano incongruenti, viene invece ricomposto in un’unità complessivamente coerente. Infatti, almeno  alcuni dei personaggi secondari, a cui sono affidate le parti comiche, acquistano un ruolo effettivo nella vicenda principale (il giallo) e quindi trovano un senso, una giustificazione che inizialmente pareva mancare.

Questo non è però vero per tutti, e proprio su questo punto si concentrano, a mio parere, le note dolenti. Rimangono le scenette, gli sketch, le trovatine volutamente leggere ma spesso anche piuttosto banali, e soprattutto non pertinenti. Certo, la commistione dei generi è implicita nel tipo testuale scelto dall’autrice, ma alcune soluzioni che vorrebbero essere divertenti mi sembrano solo un po’furbette e in ultima analisi poco efficaci, anzi addirittura controproducenti. Si pensi, per esempio, ai vai episodi focalizzati sulla gelosia di Giorgina, che si succedono tra gratuitamente tra goffaggini e assurdità, per poi concludersi con un’uscita di scena veramente affrettata e irrisolta. Anche a Cosetta, del resto, è affidata una buona dose di  leziosità non del tutto necessaria.

Proprio la presenza di un personaggio caratterizzato come cantante di operetta consente peraltro di accentuare l’impostazione teatrale del libro, fornendo lo sfondo per molte scene. Inoltre, la scrittura e lo stesso impasto linguistico ne sono fortemente condizionati tramite la frequente introduzione di brani di romanze e dialoghi operistici. Anche qui dunque la storia subisce molte interruzioni. Ma mentre nel primo volume della Libraia la narrazione era continuamente alternata a citazioni letterarie del tutto fuori contesto (che peraltro non sono state completamente eliminate), ora almeno la maggior parte delle interruzioni risulta più motivata, per quanto si tratti sempre di “distrattori” rispetto al racconto principale.
Insomma, nel complesso un libro abbastanza gradevole. Specialmente per chi ama il genere.

 orvieto

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