Mi azzardo qui a riportare alcune considerazioni “libere”, nel senso di idee del tutto personali, in parte estemporanee e comunque prive di particolare approfondimento critico, riguardo la lettura ad alta voce, senza distinzione tra prosa e poesia. Pensieri sorti, o meglio rinvigoriti, dall’incontro di giovedì 11 aprile con Fulvio Ervas, nel corso del quale sono state lette alcune pagine dalle Commesse di Treviso e da L’amore è idrosolubile. I lettori – bravissimi – si sono esibiti talvolta singolarmente, talvolta duettando in coppia, e la performance è stata davvero deliziosa. Punto di forza di questa lettura è stata la componente più frizzante e ironica dei brani scelti, tanto che persino Ervas sembrava sinceramente divertito da quanto lui stesso aveva scritto. E in effetti la lettura di brani letterari può essere di volta in volta divertimento, emozione, impegno; sempre comunque è coinvolgimento e condivisione. Così l’evento acquista un valore aggiunto, l’incontro si trasforma in festa.
Vorrei proporre però anche qualche spunto di riflessione su un aspetto particolare, cioè i procedimenti (e poi gli scopi) della lettura. Partiamo dalla constatazione preliminare che essa è la forma quasi esclusiva della fruizione letteraria, che quindi viene è praticamente a coincidere con la lettura stessa, sia quella individuale silenziosa, tecnicamente detta endofasica, sia quella ad alta voce; di fatto però quest’ultima è intesa solo come ascolto di quanto viene letto da un’altra persona (e in questo senso intendo qui parlarne), benché in teoria chiunque possa leggere ad alta voce per se stesso.
Ma cosa significa leggere?
Leggere significa dapprima decodificare la sequenza di segni (lettura grafica), poi quella di parole (lessicale), poi di frasi (sintattica). Infine viene la comprensione del significato, ovvero spiegare e spiegarsi che cosa dice quel discorso, inteso in senso letterale, cioè semplice e aperto. Questa è la denotazione, e quello che è detto è denotato. Per molti tipi di testo, ciò è sufficiente.
Ma per la letteratura non basta. Perché il discorso letterario, specie se poetico, è diverso da qualsiasi altro. È più difficile, e non perché parli necessariamente di argomenti che non conosciamo o non siamo in grado di comprendere, ma per sua caratteristica intrinseca, perché è molto più complesso, denso di implicazioni, che spaziano dai riferimenti intertestuali e a quelli intratestuali, dalle scelte formali all’utilizzo di stilemi più o meno esclusivi. È un discorso ad alto potenziale retorico, dove contano moltissimo la modalità con cui le cose sono dette (o taciute), la scelta espressiva, il registro, lo stile. In altre parole, la cosa più importante è proprio lo scarto rispetto al modo più “normale”, semplice, diretto di dire le cose.
A questo punto, allora, per la comprensione, non basta che la lettura sia analitica, deve diventare critica. Devono cioè entrare in azione anche la capacità di inferenza e decodifica del senso connotato: ovvero il saper cogliere ciò che non è esplicitato ma è lasciato capire, suggerito, evocato. Insomma tutte le implicazioni presenti nel testo, che se non sono percepite e disambiguate rendono la comprensione limitata, la fruizione solo parziale.
Gli elementi impliciti, stilistici e connotati dipendono da tanti fattori, sono attuati con numerosi e vari strumenti linguistico-espressivi, e sono ovviamente lavoro dell’autore; saperli cogliere è faccenda del lettore. Più quest’ultimo è esperto e smaliziato in senso culturale, più ricca è la sua enciclopedia mentale, meglio sarà in grado di capire il testo, a diversi livelli di profondità.
In conclusione, la lettura è attribuzione di senso. In ambito letterario, quest’ultimo non è non è automatico né univoco né uguale per tutti. È qualcosa di personale, nel senso di soggettivo e relativo. Qui però siamo già su un altro piano: la lettura è diventata interpretazione.
Interpretazione e mediazione
L’interpretazione può essere definita un intervento virtuale sul testo, che pertanto risulta manipolato e, per così dire, contaminato dall’azione del lettore (come peraltro del traduttore o dell’attore e del regista, nel caso di testi teatrali). È inevitabile, e non è poi tanto male, perché la letteratura deve essere innanzitutto comunicazione, quindi l’atteggiamento attivo del destinatario è giusto e giustificato. Lo diceva decenni fa Eco, col suo lector in fabula.
Ma l’ascolto di una lettura ad alta voce (come del resto la traduzione e la recitazione) non è solo questo: perché è lettura mediata dall’l’interpretazione altrui. Come dire che l’approccio all’opera è filtrato e orientato dalla versione che ne dà chi legge.
Non esiste soluzione alternativa: non ha senso tentare di proporre una lettura neutra del testo, perché è impossibile. Un testo prodotto di elaborazione letteraria neutro non lo è mai, naturalmente anche nel caso in cui l’autore abbia voluto adottare per consapevole scelta espressiva un profilo basso, ovvero un registro colloquiale, o prosastico, o asettico, o comunque apparentemente privo di marche espressive forti. E quando invece è l’interprete a ritenere, a torto o a ragione, che l’opera sia espressivamente e stilisticamente poco elaborata o poco definita – ammesso che a fronte di così scarso apprezzamento diventi materia di un reading – già quest’orientamento, in quanto contenente una valutazione, non può essere neutro per definizione, e quindi tende a influenzare l’ascolto da parte del pubblico.
Che dire allora di questa mediazione? Non pongo il problema di quanto fedele all’originale o corrispondente alle intenzioni dell’autore risulti l’opera letta/tradotta/recitata, purché naturalmente si tratti di interventi professionalmente di livello apprezzabile. C’è da chiedersi addirittura se l’interpretazione, proprio in quanto tale, non debba essere considerata sempre accettabile, anche se inaccettabile per noi. (Paradosso non privo di senso. Ma questo è un altro discorso). Mi riferisco invece al rapporto tra chi propone e chi usufruisce di un approccio così mediato. E soprattutto al rapporto con l’opera.
Qui bisognerebbe distinguere se capita di ascoltare un testo già noto o di uno completamente sconosciuto, e soprattutto se si tratta di un lettore abituale che eventualmente assista ad un reading, oppure di una persona che normalmente non legge: un non-lettore, o un lettore solo potenziale.
Nel primo caso, per semplicità faccio riferimento alla mia esperienza personale, in cui credo molti possano riconoscersi. Mi è capitato di sentir leggere brani di narrativa o pezzi poetici che avevo precedentemente affrontato in modo autonomo, formandomene un’idea personale. La lettura fatta da altri me ne ha presentato talvolta un’immagine del tutto diversa, che ho avvertito come aliena e irriconoscibile, anche se non sempre peggiore. A volte anzi sono stata posta di fronte ad una prospettiva nuova, come se mi fosse stata spalancata una porta che prima era rimasta chiusa. Si è così evidenziata una gamma di sfumature nel testo – implicazioni di stile e di significato – che fino a quel momento non avevo saputo cogliere. L’ascolto, in questi casi, si è rivelato un vero e proprio dono. Ma è successo anche tutt’altro. La “voce” altrui, pur esperta ed accattivante, mi è parsa riduttiva, oppure, al contrario, eccessiva, inadeguata e persino sbagliata, perché orientata in una direzione che percepivo come estranea all’opera (ahimè, sentir leggere Kafka come se fosse Goldoni!).
Effetto di straniamento
Anche a voler escludere l’ipotesi dell’interpretazione sbagliata, l’effetto straniante non mi sembra comunque trascurabile. In altri termini: quanto può perderci il testo? E soprattutto quanto ci perde il lettore che diventa ascoltatore? Interrogativi evidentemente complementari rispetto a quelli di segno opposto (quanto ci guadagnano opera ed ascoltatore, ad una lettura che sia invece piacevole e coinvolgente?).
Se l’ascoltatore è già lettore abituale, la questione non mi sembra rilevante: egli è l’unico in grado di cogliere una eventuale discrepanza tra la propria idea personale di un’opera e quella che gli viene proposta, ma potrà ricavarci un’occasione di riflessione e confronto. La diversa interpretazione che gli capiti di ascoltare, anche se non dovesse risultargli gradita, non potrà alterare le sue abitudini, né interrompere quel dialogo con autori e testi che agli evidentemente ha già imparato a sostenere ed apprezzare.
Le cose cambiano se la lettura è rivolta ad ascoltatori occasionali (casuali?), lettori inesperti, o addirittura a non-lettori, nell’ipotesi che possano essere attirati ad una frequentazione più sistematica e costante dei libri. Insomma, se l’obiettivo è la promozione della lettura e quindi la presentazione dei testi è strumentale per arrivare alla conoscenza e diffusione della letteratura. Che è poi la situazione prevalente, anche quando non venga espressamente dichiarata, perché in fondo questo è il fine ultimo di tutti gli interventi di reading e di incontro con l’autore, oltre l’intento celebrativo o pubblicitario, che ha sicuramente la sua ragione di essere, ma ad solo mi pare riduttivo. La vera sfida è infatti quella di riuscire ad interessare l’ascoltatore, catturarlo fino a farne un lettore convinto. Ovvero uno che alla fine ci prende gusto e che non ha più bisogno di essere accompagnato da altri sulla rotta dei libri, uno che oramai riesce a mettere in atto un suo cammino autonomo, indifferentemente percorso di conoscenza e approfondimento, o vagabondaggio libero ed avventuroso nel gran mare delle storie narrate e della parola poetica.
Per ottenere tutto ciò, due aspetti sono imprescindibili. Il primo riguarda il piacere di leggere, che deve essere in tutti i modi incentivato, e soprattutto mostrato come obiettivo reale, possibile, accessibile. Il secondo – connesso al primo – riguarda la conoscenza dell’opera, che per il neofita rischia di rimanere solo un’idea mediata, con effetti fuorvianti e forse anche deterrenti, che invece devono essere assolutamente evitati.
Una proposta
Insomma: l’ascoltatore è sempre condizionato dalla versione del testo che l’interprete decide di proporre, che talvolta può non piacergli, anche se forse non è in grado di capire perché. Soltanto se si accosta e all’opera autonomamente potrà farsene un’idea personale, a sua volta soggettiva e parziale, ma soltanto sua e liberamente maturata. Magari per confrontarla e metterla in discussione con altre persone, ricavandone sicuramente una soddisfazione più ampia e motivata. Ma prima che egli sia pervenuto a tale maturità, se d’altra parte tutte le interpretazioni, anche le più estreme e discutibili, devono essere considerate ammissibili, come si deve procedere?
Secondo me, svelando con chiarezza quale tipo di “taglio” si è voluto dare all’opera, ponendo sul tappeto la questione della relatività dell’interpretazione e consentendo così al pubblico di affrontare l’ascolto in atteggiamento problematico. Si può farlo preventivamente, prima che la lettura abbia luogo o eventualmente anche dopo, in una successiva fase esplicativa e di commento. Questo dipende dall’organizzazione del singolo evento, argomento qui non pertinente. L’importante è la trasparenza dell’operazione che si è voluta realizzare sul testo. In qualche caso ritengo molto costruttivo proporre addirittura letture diverse, presentando almeno due dei possibili modi di trattare il medesimo brano, come strumento di approccio critico.
Si potrà obiettare che in questo modo il tutto verrebbe appesantito, scoraggiando così quell’avvicinamento alla lettura/letteratura che si vorrebbe invece incentivare. Forse. Non ne sono però così sicura, soprattutto se venissero privilegiati brani brevi o particolarmente interessanti ed accattivanti. E poi si tratterebbe soprattutto di saper adeguatamente sollecitare (solleticare?) il piacere dell’ascoltatore, non trascurando di far leva anche sulla sua intelligenza e sulla legittima aspirazione a praticarla. Con l’ovvio corollario che se invece quest’intelligenza fosse al momento assopita, darle la sveglia non può che essere considerata operazione sacrosanta.
A scuola
Proprio in questo senso, aggiungerei che l’ascolto di brani letterari può rivelare la propria utilità anche a scuola, ancora una volta come elemento propedeutico alla lettura in proprio, specie se proposto a tutti i bambini ed adolescenti – e sono tanti, purtroppo – convinti che il libro faccia male. A questi ragazzi, un po’ svogliati ma solitamente intelligentissimi, va dimostrato che sbagliano alla grande, anche se la loro idea può trovare motivazione nelle modalità in cui sono entrati in contatto con la lettura, ovvero una situazione scolastica, per definizione coercitiva, noiosa, talvolta percepita persino come punitiva. Bisognerebbe perciò cercare di smantellare questo blocco, facendo capire che quella maledetta letteratura non è una condanna, né una cassaforte chiusa, ma un tesoro a portata di mano. Per tutti, basta volerlo.
Può essere produttivo presentare agli studenti anche opere diverse da quelli canoniche, oppure proporre queste ultime in una forma più coinvolgente che abbia il sapore della novità. E poi spiegare che il libro non si è fatto da solo per tragica fatalità, insistere sull’umanità degli autori, puntare sul fatto che non si tratta – né si è trattato in passato – di fantasmi o di extraterrestri, ma di uomini normali, veri, reali, come il loro padre, il nonno, l’allenatore di calcetto. Magari anche come il professore (incrociando le dita perché proprio quest’ultimo non si riveli un passo falso!).
Ne parlava l’altra sera anche Ervas, che non è solo scrittore, ma anche padre e docente e questo problema lo conosce bene. Secondo lui, l’ascolto di qualche pagina dalla voce altrui, fosse semplicemente quella dell’insegnante, è sempre più facile e veloce rispetto alla lettura silenziosa individuale e può aiutare a prendere a poco a poco confidenza con la letteratura. Insistere, allora. Meglio ancora sarebbe se, quando possibile, la scuola organizzasse incontri ed interventi degli autori, permettendo agli studenti di vederli nella loro terrena normalità, nella loro concretezza di persone come tutte le altre. Forse, in qualche ragazzo potrebbe nascere l’interesse, svegliarsi la curiosità, addirittura sorgere un moto di simpatia. Preludio all’illuminazione. E allora sì che sarebbe un bel successo.
Quando la lettura a.v. è indispensabile
La lettura ad alta voce ha poi anche altre e più necessarie funzioni, nei casi di oggettiva impossibilità della lettura autonoma. Volutamente ho lasciato per ultime le situazioni in cui la sua validità risulta evidente ed incontestabile, senza che vi sia spazio per alcuna riserva o perplessità. In questi casi, infatti, la questione dell’interpretazione e della mediazione mi sembra davvero secondaria se non irrilevante, a fronte della ricaduta e gli effetti positivi che ne derivano.
Innanzitutto la lettura ad alta voce può essere veramente fondamentale come sostegno e intervento presso chi non è in grado di leggere da sé: persone ammalate o disabili. Qui è la realizzazione di una missione umana, civile e culturale allo stesso tempo, missione utile, necessaria, lodevole su cui nessuno può trovare nulla da eccepire.
L’altra occasione importante è quella di fornire ai bambini in età prescolare un primo incontro con il racconto e la poesia, incontro giustamente orientato in chiave per lo più ludica ma anche creativa, quindi di grande valenza formativa. Senza dilungarci con le citazioni, ricordiamo che non mancano numerosi esempi di iniziative significative anche nel territorio vicino a noi, come certamente nel resto d’Italia, e la stessa Biblioteca di Spinea ha al proprio attivo un’esperienza notevole in questo senso, avendo organizzato anche di recente eventi di lettura destinati ai più piccoli.
Tutte queste attività si propongono di accompagnarli per mano in attesa che siano in grado di reggersi sulle proprie gambe, avventurandosi da soli dove li porteranno fantasia e sensibilità. Perché la speranza è sempre quella che un giorno questi bambini, diventati ragazzi e poi adulti, ormai dotati di abilità e competenze proprie, possano rivelarsi e mantenersi lettori interessati e costanti. Esploratori che partono alla ricerca di quello che più corrisponde alla loro personalità e che meglio rappresenta il loro modo di sentire. Trovando nei libri molto di più, forse, di quello che cercavano: una fonte sempre viva di storie, idee, risposte. E magari un trampolino di lancio verso la conoscenza di sé e del mondo.
Conclusioni TU LEGGI, IO ASCOLTO. RIFLESSIONI SULLLA LETTURA AD ALTA VOCE
Qual è il senso di questa chiacchierata? Che la lettura ad alta voce di testi letterari è utile, utilissima, in qualche caso addirittura indispensabile. Però, escludendo le situazioni più difficili, si deve considerare uno strumento, non il fine. Utilissimo, prezioso, benemerito, ma strumento. In altre parole: ascoltare va benissimo. Ma non sarebbe meglio se alla fine un ascoltatore si abituasse anche leggere da solo, e magari si lasciasse prendere dalla passione?