Esiste una certa difficoltà a sintetizzare la ricchezza di JJUsession 2013, la manifestazione di arte e musica jazz che si è svolta sabato 20 aprile a Villa Simion, sede della Biblioteca di Spinea. Proverò a renderne conto seguendo per comodità l’ordine spaziale, non l’unico criterio possibile, ma comunque tentativo di chiarezza, almeno per me e per chi eventualmente dovesse leggere queste righe. Che poi, se fosse interessato può trovare, sempre su questo blog,ulteriori notizie in un altro articolo sulla manifestazione.
Emeroteca: Scuola di Musica Thelonious Monk
Per tutta la durata della JJUsession 2013 l’emeroteca è stata monopolio della Scuola di Musica Thelonious Monk, fondata a Mira nel 1987 da Maurizio Caldura e Marcello Tonolo e ritenuta uno dei più interessanti centri di formazione e sperimentazione oggi presenti in Italia, grazie alla validità dei suoi corsi e ai suoi insegnanti, tutti affermati professionisti sia nell’ambito musicale sia in quello didattico. Fondamentali, fra l’altro, i suoi laboratori di musica d’insieme, i cui gruppi spesso si esibiscono in manifestazioni e rassegne con notevole successo.
Alla manifestazione la Scuola ha proposto tre diversi momenti musicali che hanno visto protagonisti allievi e maestri. Nel primo pomeriggio, Prove aperte, in cui, insieme appunto ai giovani talenti della scuola, Enrico Merlin ha costruito un brano destinato ad essere presentato in serata, nel concerto di chiusura. Work in progress di carattere didattico e creativo molto interessante, seguito dai presenti con attenzione e viva curiosità.
Successivamente la Band degli allievi ha eseguito un breve concerto, all’insegna della simpatia e del divertimento, con una esibizione tutta giocata tra l’abilità operativa e la disinvoltura dell’approccio al pubblico.
E finalmente, a conclusione dell’intera manifestazione, il fiore all’occhiello della Scuola, la Thelonius Monk Big Band. Presentata e diretta per l’occasione da Domenico Santaniello (che alla competenza spesso ha saputo unire un pizzico di ironia) l’orchestra ha eseguito il concerto finale, in un crescendo musicale entusiasmante, in cui si sono susseguiti diversi splendidi assolo di sax. Sensibilità espressiva, brillantezza dell’esecuzione, finezza del singolo dettaglio stilistico, uniti alla forza di una passione che si percepiva con chiarezza pur nella precisione della perizia tecnica, hanno conquistato gli ascoltatori portando una degna conclusione per JJUsession 2013.
Mansarda e Sezione bambini : Band vocale Scuola Thelonious Monk, 123Jazz
Intanto, nel corso del pomeriggio, in mansarda dava il meglio di sé la band vocale della Scuola, mentre nella Sezione bambini si svolgeva 123Jazz. Carmen Carraro, Caterina Castellani e Loretta Zuin partendo dall’ascolto della musica jazz, protagonista di questa giornata, e passando attraverso l’esplorazione del segno e del colore, hanno cercato di far comprendere ai più piccoli le possibilità di armonia tra le due diverse forme espressive.
Bisognava vederli, questi bambini: occhi sgranati, labbra socchiuse, le guancette rosse per la concentrazione, dapprima impugnando o stringendo a sé i loro piccoli strumenti (giocattoli, forse), seguivano attentissimi le operatrici di LAVINIA che li conducevano attraverso l’itinerario dell’ascolto musicale per farli approdare infine all’arte. Più tardi, infatti, mani sporche e guancette rosse per la concentrazione, eccoli assorti nella fase creativa tra fogli e colori. Solo di tanto in tanto qualcuno alzava gli occhi dal proprio lavoro, magari anche un po’ seccato da tanta curiosità da parte di chi passava davanti al loro spazio. Non sarà un’osservazione originale, ma posso dire che erano bellissimi?
Sala del caminetto: Jazz Loft, Assoli di China, 1000 dischi per un secolo
Nella saletta del caminetto stata inaugurata ed è visibile fino al 30 aprile Jazz Lof la mostra di Massimiliano Gosparini, che presenta un serie di diciassette dipinti (oli su carta) con cui si illustra una storia a fumetti scritta e sceneggiata da Fabio Massarutto. Gli autori sono due nomi importanti del settore ed hanno al proprio attivo molte significative esperienze nei rispettivi campi d’azione.
La vicenda raccontata da Jazz Loft ha un’origine lontana, che ci riporta agli anni Cinquanta del XX secolo e richiama personaggi, fatti e situazioni reali.
In quell’epoca, per il jazz fortunatissima, il grande William Eugene Smith (1918-78), all’apice di una brillante carriera come fotografo documentarista, conosce una grave crisi professionale ed esistenziale, che lo porta ad abbandonare la famiglia e i remunerativi incarichi che gli vengono conferiti dalla prestigiosa rivista Life. Trasferitosi da Pittsburg a New York, va a vivere in un loft sulla Sesta Avenue, divenuto una vera e propria comunità artistica dove diversi musicisti condividono spazi, esperienze, sperimentazioni creative. Qui, oltre ai residenti, convergono le maggiori personalità del mondo jazzistico e qui Smith, che vi soggiorna per ben otto anni, dal 1957 al ’65, continua, con una costanza che ha qualcosa di maniacale (ma che alla fine si rivelerà preziosa) a fotografare e a registrare tutto ciò che accade nella varie stanze ed anche, saltuariamente, ciò che vede dalle finestre di quello che ormai per tutti è il Jazz Loft.
Ne deriveranno quarantamila scatti fotografici e oltre quattromila ore di registrazione, materiale che Smith, personaggio ossessivo e geniale, non arriva a pubblicare personalmente, ma che dopo di lui verrà oggetto di studio e classificazione per un ambizioso progetto pubblico e porterà, nel 2009, ad un ponderoso volume e poi ad una grande mostra presso la NY Public Library of Performing Arts.
Questa la storia di riferimento. Il fumetto di Gosparini e Massarutto nasce da qui, prendendosi la libertà di spostare la vicenda negli anni Settanta e facendola arrivare fino ai giorni nostri, durante la campagna elettorale che contrappone un candidato sostenuto dagli ultraconservatori di Tea Party ad un altro, democratico, destinato ad entrare alla Casa Bianca come il primo presidente afroamericano della storia degli Stati Uniti.
Va detto che gli anni Settanta non furono un periodo felice per il jazz, apparentemente incapace di resistere al vento impetuoso del rock. Questa situazione di disagio professionale e personale aveva portato alcuni artisti, determinati a reagire contro la crisi e ad opporsi ad ogni condizionamento commerciale, ad organizzarsi autonomamente nel movimento Loft Jazz, nato per difendere la loro dignità artistica e presto diventato molto significativo per il jazz d’avanguardia.
Nei loft gestiti da musicisti come Sam Rivers, Ornette Coleman, Warren Smith poté così crescere ed esibirsi tutta una generazione di nuovi jazzisti che saranno i protagonisti del decennio successivo, animati da un’urgenza creativa che si accompagnava alla forza della rivendicazione sociale e politica. Tra essi si muoveva un giovanissimo William Parker (nato nel 1952), oggi protagonista della scena free non solo come bassista, ma come vero e proprio leader intellettuale di una comunità artistica. È lui uno dei personaggi principali di Jazz Loft. Gli sta accanto il giornalista musicale Eric, che si trova ad indagare su un omicidio maturato nell’ambiente del jazz. Tensione, suspence, rivelazioni piene di inquietanti sorprese sono rese possibili dall’ascolto dei nastri che Parker propone ad Eric.
Le tavole ora esposte nella mostra di Spinea richiamano l’atmosfera cupa e claustrofobica della storia: nei riquadri (le vignette del fumetto) prevale in modo assoluto il nero, appena smorzato da infinite tonalità di grigio e di seppia; le scene sono affollate di personaggi, oppure scorciate in modo tale da rendere praticamente inesistente lo spazio di fondo; il cielo non si vede mai, o se c’è è immerso nel buio di una notte insidiosa. L’impressione è forte, persistente, sottilmente inquietante.
Ma racconto e immagine non bastano. La particolarità di questo fumetto sta infatti nell’essere stato concepito per l’accompagnamento di una colonna sonora originale, nata con essa e per essa. La composizione delle musiche è stata allora affidata a Massimo De Mattia e Bruno Cesselli; essi hanno lavorato sullo story-board preparato nel frattempo da Gosparini, collaborando, sia nella fase creativa sia in quella successiva dell’esecuzione con Nicola Fazzini, Luigi Vitale, Alessandro Turchet e Luca Colussi. Anche qui l’intento prioritario era di rispecchiare fedelmente personaggi, scene e soprattutto atmosfere noir del fumetto, tanto che la musica potesse essere perfettamente sovrapponibile a quest’ultimo. Ed in effetti i diversi brani composti per l’occasione – ormai registrati e di prossima pubblicazione – riproducono la scansione dei diversi episodi della storia e delle immagini mantengono il tono denso di tensione e di aspettativa, ora inquietante, ora sottilmente evocativo, ora invece malinconico e dolente. Non manca poi la nota irridente e dissacrante: pensiamo alla riproposizione di Tea (Party) for two, un classico demolito dalla forza di una satira alla Charles Mingus.
Sempre a Massarutto si deve un altro lavoro presentato nel corso della manifestazione.
Assoli di China (Stampa alternativa, 2011) è uno studio su come i fumetti hanno raccontato il jazz, che può essere letto come un’indagine, un viaggio, un diario intimo, una guida, e altro ancora. Nata come rielaborazione ed approfondimento a partire da una serie di articoli e dalla pubblicazione Jazz & Fumetto, questa è infatti la più vasta ricognizione mai tentata sull’argomento, prendendo in considerazione oltre centocinquanta opere, in gran parte inedite in Italia, e analizzandole per temi.
Personaggi reali e inventati, luoghi e oggetti del jazz nel mondo del fumetto vanno ad arricchire un campionario vastissimo, costruendo una vera e propria mitologia. Si parla di figure immaginarie come Mister No e Dick Tracy, di grandi fumettisti jazzofili quali Guido Crepax e di Louis Joos, ma anche di nomi meno noti e addirittura underground, e i classici compaiono accanto ai giovani talenti e ai risultati delle ultime sperimentazioni consentite dalla tecnologia e dai nuovi media. Lo spettro degli argomenti trattati è amplissimo e contempla anche problematiche storiche e sociali, come quando analizza il razzismo verso gli afroamericani sia “dentro” il medium, mostrando una rappresentazione in cui prevalgano stereotipi abusati (il nero dipinto come Zio Tom sempliciotto) sia “fuori”, riportando la difficoltà dei disegnatori di colore di farsi accettare nell’America bianca.
Il testo si avvale di un vasto corredo di illustrazioni esemplificative dello stile fumettistico dei singoli autori e si arricchisce di due inserti illustrati, entrambi su soggetto di Flavio Massarutto: il primo si intitola Visioni. Un racconto jazz e presenta sessantaquattro tavole a colori coi disegni di Davide Toffolo. Il secondo è Bad Boy, con sette tavole a colori di Massimiliano Gosparini.
nel corso della manifestazione è stato presentato anche un altro grande lavoro di indagine storico – musicale, opera di Enrico Merlin. Mi riferisco al corposo volume 1000 dischi per un secolo.1900-2000 (Il Saggiatore, 2012). Si tratta di un ampio repertorio (comprendente appunto mille dischi) che costituisce forse il viaggio spazio-temporale più panoramico che sia stato finora tentato attraverso la musica del ’900, una mappa nata con l’ambizione di illustrare, per campioni, tutte le musiche che si incrociano oggi nell’universo mediatico. Non presenta però soltanto una sequenza di schede, ma una rete di informazioni che formano una cronologia, una storia continuamente intrecciata di personaggi, luoghi, avvenimenti in cui si può scorgere, pur nella massa eterogenea delle proposte, una sorprendente unità. 1000 dischi per un secolo si presenta quindi non semplicemente come opera di consultazione occasionale, ma anche come risorsa per una lettura sequenziale e continuativa, fonte di sorprese, di associazioni impensate, di stimoli per conoscere musiche e musicisti anche del tutto nuovi o appartati nel panorama artistico contemporaneo. Nell’era della musica liquida, il libro finisce per essere anche una celebrazione – forse postuma – del disco, presentato qui come specchio delle modalità d’ascolto da parte del pubblico ed addirittura come forma specifica della musica stessa nel ’900, articolata attraverso i molteplici generi musicali e gli svariati supporti tecnologici.
Oratorio: La poetica del frammento
Nell’oratorio della Villa Simion, è ospitata fino al 30 aprile una mostra collettiva curata dall’associazione culturale LAVINIA. Angelino Cortesia (fotografia), Simone Longo (acrilico su plexiglass), Barbara Pellizzon, Simone Strifele, Loretta Zuin (acrilico su tela) espongono opere in cui, utilizzando tecniche eterogenee, affrontano soggetti vari, dal paesaggio immaginario al dettaglio fotografato, dal nudo alla figura umana anonima e priva di tratti definiti. Tutti si rifanno al microcosmo individuale, proiezione e sintesi dell’universo, così come appare, frantumato e lacerato, alla percezione dell’artista. Per questo, forse, vi domina il grigio, accompagnato da molto bianco e molto nero, colori freddi e quasi asettici che evocano l’aridità della condizione umana e del mondo in cui l’uomo è costretto a muoversi.
Dai quadri si distingue, però per colore, formato, tecnica, un lavoro di Emanuela Cittadoni intitolato Orizzonte degli eventi (2012). Si tratta di un grande arazzo rotondo, quasi una sorta di collage di brani tessili di vario spessore, consistenza e dimensione, tutti sui toni del blu, accostati a ricomporre in armonia un tessuto espressivo complesso, solo apparentemente monocromatico, in realtà modulato su mille diverse sfumature, capace di accendersi inaspettatamente – ad un movimento dell’aria, ad uno spostamento dell’osservatore – per la presenza di minuscole particelle (pailettes? strass?) che catturano la luce e ne rimandano le vibrazioni.
Con modalità e scelte formali individuali viene dunque rispettata dagli autori “la poetica del frammento”, ipotesi espressiva che costituisce il filo conduttore della mostra.
Essa richiama la tendenza nata agli inizi del Novecento col decadentismo, come strategia di risposta alla condizione di incertezza dell’uomo, che con la nuova “rivoluzione copernicana” portata dalle recenti scoperte scientifiche (Einstein e Freud insegnano) aggravata dalla tragica esperienza della guerra e della dissoluzione della società ottocentesca, ha perso ogni punto di riferimento, ha visto crollare il suo “paradigma di verità” e, travolto dalla ambigue seduzioni dell’inconscio individuale e collettivo, ha acquisito orai piena consapevolezza della sua crisi. Il sogno è finito, l’ottimismo positivista non ha più senso, la religione non ha più niente da dire: la nuova epoca si caratterizza per la caduta di fede nei valori storici, nel crollo del mito, nella perdita d’identità dell’uomo in quanto tale.
Tra nuovi sentimenti e nuove poetiche, il frammentismo, che rompe con le forme chiuse e armoniche dell’arte e della poesia tradizionale, può affermarsi proprio perché una rappresentazione unitaria e compatta appare ormai impossibile, se la vita è sentita come confusa, parziale e soggettiva. Eppure il frammento come strumento comunicativo vuole anche essere un tentativo di opposizione – l’unico possibile – al disordine del mondo e dell’esistenza umana: benché circoscritto, esso si mostra a sua volta come un piccolo sistema. Non potendo essere ulteriormente frantumato, non può neppure essere disperso, né contaminato; così, nella sua limitatezza, ricompone un’unità: svelando la crisi, ne offre una soluzione.
Anche la musica può spesso corrispondere alle istanze della poetica frammentista, e su questa ipotesi infatti si orienta la proposta presentata da LAVINIA per JJusession 2013, che tende a creare un dialogo tra arte e musica, “favorendo risonanze, evoluzioni ed esiti inaspettati”. Si pensi soprattutto senso di alienazione e straniamento che trapela da certi vecchi standard jazz, dove prevale la pratica dell’isolamento, con note che si affermano staccate, potenti come fossero unità assolute e totalizzanti.
Ma non solo: come si è detto, frammentismo può essere anche inteso come tentativo di ricomporre una sorta di armonia pur nella diversità. E in questo senso potrebbe essere interpretata la scelta di Alessandro Fedrigo (bass solo), che nella sal del caminetto, a colloquio con le opere d’arte, si è esibito presentando il suo ultimo lavoro Solitario (per l’etichetta musica.org).
Il disco è la realizzazione di un progetto nato dall’esigenza di esplorare le potenzialità del basso acustico, strumento relativamente nuovo ed sconosciuto, attraverso l’esperienza della ricerca individuale in solitudine. I pezzi sono complessivamente dodici, quattro standards e otto brani originali, in cui si realizza ed approfondisce un’indagine articolata su tre ambiti principali.
Il primo, costituito da una serie di composizioni originali, sviluppa tecniche polifoniche sullo strumento, con particolare attenzione all’articolazione della forma e alla relazione tra scrittura e improvvisazione. Ne fanno parte Della Terra, Novembre, Euclide e Marte 4. Il secondo ambito di riguarda nuovi arrangiamenti di pezzi celeberrimi della tradizione jazzistica utilizzando tecniche polifoniche: All of Me, Autumn Leaves, My One and Only Love e il blues Blue Monk. La terza parte di composizioni è costituita invece da improvvisazioni libere (”composizioni istantanee”), una delle discipline tipiche e più stimolanti della solo performance.
Nel corso del suo intervento l’artista ha dunque offerto un assaggio di quest’opera, eseguendo alcuni pezzi, sia suoi sia di altri autori, tutti veramente intriganti e suggestivi, alternando momenti altamente intensi a passaggi più “distesi”, malinconici e talvolta struggenti, eseguiti con grande finezza espressiva. Alla fine, istituendo in qualche modo un riferimento alla poetica del frammento, tema della mostra che gli faceva da sfondo, Fedrigo ha voluto concludere col suo Acquaforte, dove, intessendo un unico brano su episodi di diversa tonalità, la musica tende a rendere la sonorità variabile e inafferrabile dell’acqua. Ora impetuosa ora lenta ora quasi ferma…
Per saperne (un po’) di più
Per che fosse interessato a qualche ulteriore notizia sui musicisti intervenuti alla manifestazione, riporto una breve sintesi. Come si dice nei titoli di coda al cinema, eccoli in ordine di apparizione nel testo:
Domenico Santaniello inizia a suonare la chitarra da autodidatta e in seguito il basso elettrico con il mitico insegnante Franco Cantelmo. Consegue poi diversi diplomi: in Contrabbasso presso il Conservatorio di Musica “D. Cimarosa” Avellino nel 1992, nel 2004 in Musica Jazz presso il conservatorio “B. Marcello” di Venezia ed infine nel 2005 ottiene il Diploma Accademico di II Livello in Musica Jazz con il maestro Paolo Ghetti al Conservatorio “Antonio Buzzolla” di Adria. Dall’ a.a.2007/08 insegna Basso Elettrico presso il Conservatorio statale di musica “D. Cimarosa” di Avellino.
Ha suonato e suona tuttora con numerosi musicisti o artisti di fama (fra i più noti: Moni Ovadia, Marcello Tonolo, Stefano Battaglia Nicola Fazzini, Neil Leonard, Luca Colussi, Mauro Bordignon) ed ha preso parte ad alcune trasmissioni televisive trasmesse dalla RAI accompagnando cantanti come Silvia Mezzanotte (ex voce dei Matia Bazar), Cheryl Porter, Alter Ego, Povia (vincitore Sanremo 2006), Nada, Pago, Spagna, Denis, Masini, Simone, Riccardo Fogli.
Dal 2008 collabora con Gualtiero Bertelli in diversi spettacoli tra cui Un Paese Di Gente Per Bene; Negri, froci, giudei & co.; Vandali con la partecipazione di diversi interpreti. Dal 2009 fa parte del Laboratorio Permanente di Ricerca Musicale coordinato da Stefano Battaglia.
Massimiliano Gosparini, classe 1974 è stato tra i fondatori della rivista umoristica Auagnamagnagna!, dove ha pubblicato, tra il 2001 e il 2005, storie a umetti e vignette, tra cui l’albo L’osteria degli ultimi. Suoi sono gli allestimenti e le scenografie di diversi spettacoli teatrali, tra i quali Come conquistai Parigi, opera ispirata alla vita di Modigliani messa in scena dalla Compagnia teatrale Bateau-Lavoir e La casa di Bernarda Alba, questa volta per l’Associazione Culturale Sipario. Attualmente è impegnato con la graphic novel La Ghiacciaia, scritta da Fabio Varnerin.
Flavio Massarutto, pordenonese classe 1964, scrive di jazz su i quotidiani e periodici specializzati ed ha pubblicato numerosi saggi e studi, tra i quali il più recente è Assoli di china. Tra jazz e fumetto, finalista al premio Napoli 2012, anch’esso “presente alla manifestazione di Spinea. Vasta anche la gamma delle collaborazioni. Con il regista Alberto Fasulo ha realizzato il cortometraggio Break e con la Scuola Sperimentale dell’Attore ha partecipato alla realizzazione dello spettacolo Amatissima con Claudia Contin e Gianni Massarutto, per la regia di Ferruccio Merisi. È direttore artistico di “San Vito Jazz” e collaboratore di Cinema zero per “Visioni Sonore” e del Teatro Comunale Giuseppe Verdi di Pordenone.
Enrico Merlin è chitarrista elettrico ed acustico, banjoista e storico della Musica Afro-Americana e del Rock. È riconosciuto quale uno dei maggiori esperti di Miles Davis, del quale ha formalizzato teorie innovative inerenti i segnali non verbali e le tecniche sofisticate di post-produzione discografica, ora testi di riferimento presso la Harvard University Extension School. Nel 1996 è stato relatore alla “Miles Davis Conference“, presso la Washington University a St. Louis insieme a Teo Macero, Dave Liebman, Gary Bartz, Ira Gitler e molti altri. Nel 2007 la casa editrice “Il Saggiatore” gli ha commissionato un libro sul “Making di Bitches Brew”.
Nel 2006 ha ideato, coordinato e allestito la mostra multimediale I Suoni di Miles per Veneto Jazz Festival; questo lavoro gli è valso la copertina della rivista “JazzIt”, oltre a una grande esposizione mediatica a livello nazionale. Ha inoltre pubblicato il primo catalogo completo delle opere di Miles Davis e ha collaborato alla realizzazione del DVD Miles At Isle Of Wight del regista, già premio Oscar, Murray Lerner.
Come musicista la sua principale caratteristica consiste nell’unire sonorità acustiche ed elettriche ad elettronica e computer in una musica priva di confini dove l’improvvisazione è l’elemento predominante. E’ membro di varie formazioni, tra cui ricordiamo: Tiger Dixie Band (che si dedica al recupero e all’evoluzione del Jazz tradizionale), il Trio con Daniele D’Agaro e Mauro Ottolini e il progetto “Frida” guidato da Helga Plankensteiner.
Scrive musica per il cinema e il teatro ed ha all’attivo diverse realizzazioni discografiche partecipazioni a numerosi Festival internazionali, dove ha collaborato con moltissimi musicisti di prestigio italiani e stranieri.
Dal 2003 è direttore artistico del NonSoleJazz Festival e dal giugno 2007 ha assunto la carica di direttore artistico del Centro MusicaTeatroDanza di Rovereto (TN), dove insegna “Storia della musica del ‘900”. Insegna anche chitarra presso la scuola musicale “Il Diapason” di Trento.
Alessandro Fedrigo, nato nel 1970 a Treviso, ha conseguito la laurea triennale in jazz al Conservatorio “A.Pedrollo” di Vicenza e attualmente è iscritto all’ultimo anno del biennio di specializzazione.
Attivo fin dai primi anni ‘90 oltre a suonare in gruppi jazz, Fedrigo si occupa di musica di ricerca, elettronica, etnica e sperimentale in qualità di musicista, compositore, arrangiatore. È uno dei pochi esperti di basso acustico e rappresenta davvero una voce nuova ed innovativa del panorama artistico italiano. È anche promotore e ideatore di un festival che ha lo scopo di promuovere il jazz italiano attraverso il lavoro dei musicisti più giovani, che spesso incontrano difficoltà ad inserirsi e a trovare visibilità in un sistema eccessivamente sclerotizzato. Per questo ha anche fondato un’etichetta discografica (musica.org) che distribuisce la musica prodotta gratuitamente e il cui obbiettivo, come lui stesso racconta, è “quello di documentare e diffondere l’attività dell’artista”.
Nel corso della sua carriera Fedrigo ha collaborato con numerosissimi musicisti di grande risonanza. Ha suonato con l’Orchestra dell’AMJ del Veneto diretta da Marcello Tonolo, con l’Orchestra Gershwin e con la Open Jazz Orchestra diretta da Mimmo Cafiero avendo modo di accompagnare solisti quali Paolo Fresu, Pietro Tonolo, Maurizio Caldura, Paolo Birro, Stefano D’Anna, Giampaolo Casati ed altri. Come esecutore, compositore ed improvvisatore ha partecipato a numerosi spettacoli multimediali, di teatro, danza, e a sonorizzazioni di pellicole collaborando tra gli altri con: Lella Costa, Antonio Scurati, Massimo Carlotto, Alberto “Hugo” Polese, Claudio Sichel, Margherita Pirotto, Matteo Belli, Carlo Lucarelli, Ivano Marescotti, Livio Vianello, Lorenzo Acquaviva, Ascanio Celestini.
Dal 1995 insegna basso elettrico e musica d’insieme alla scuola “G.GERSHWIN” di Padova, dal 1999 al 2003 è stato insegnante di basso elettrico e musica d’insieme alla scuola Officina Musicale a Mogliano Veneto. Ha tenuto seminari di strumento e improvvisazione a Vicenza (JazzLand), Ferrara (Officina Musicale), Mogliano Veneto (Officina Musicale), Rovereto (NBN) e al Conservatorio di Quito (Ecuador).
Attualmente fa parte di numerosi gruppi: Standhard 3io & Silvia Donati, Luigi Vitale 4et, Alessia Obino 5et, Ar Men Trio, Chladni Experiment Trio, Donati/Gibellini Cuartèt, OBI4, Klan.g.