LUISA CONZ, Ricatto in laguna, Robin editrice, Roma 2012
Gruppo di lettura L’Italia in giallo – giovedì 14 novembre 2013
Quale Venezia?
Le tre Venezie non sono le tre regioni di nord-est che più o meno tutti abbiamo imparato a conoscere dalle lezioni di geografia delle elementari, ma le tre facce di un’unica città complessa, multiforme e sfuggente, famosissima ma per certi aspetti altrettanto misteriosa : il centro lagunare, la Terraferma, il polo industriale. Tre sorelle che non si sorelle che non si somigliano per niente e non vanno neanche tanto d’accordo, cresciute vicine ma dissonanti, con storie, orientamenti ed interessi particolari diversissime. Proprio come accade anche nelle migliori famiglie.
darci quest’immagine della città è Luisa Conz con il suo Ricatto in laguna, uscito nel 2012 presso la romana Robin Editrice, che fa della rappresentazione dei luoghi del delitto l’elemento caratterizzante della sua produzione, offrendone un ritratto curioso ed accattivante attento anche alla rappresentazione degli abitanti, dei paesaggi e delle tradizioni, affinché il lettore possa indagare aspetti sconosciuti di città notissime …
E infatti la rappresentazione di luoghi ed ambienti, qui evocati e descritti con puntuali riferimenti topografici, vuole essere il punto di forza del libro, grazie anche alle tematiche vere, che toccano problemi e situazioni di altissimo interesse sociale e civile, che non viene sostanzialmente intaccato nonostante qualche imprecisione storica e, per cosi dire, “geografica”. Si parla infatti di immigrazione, inquinamento, rifiuti tossici, frodi finanziarie e fiscali, ed altro ancora. Tutti argomenti caldi ed attualissimi, a maggior ragione per chi questi luoghi ed ambienti li vive e li conosce nella propria esperienza quotidiana.
La scena iniziale si apre a Venezia in un palazzo nobiliare di proprietà di Ermete Switzner, che anziché abitarvi preferisce cederlo in affitto per manifestazione ed veneti di vario genere. È appunto in una di queste occasioni che un certo Rigani, anziano imprenditore trevigiano è colto da malore e morirà d’infarto poco dopo all’ospedale. Sembrerebbe un evento tragico ma del tutto naturale, se non fosse che proprio là, a palazzo Switzner qualcuno ha ricattato e minacciato il vecchio, notoriamente cardiopatico, presentandogli un sinistro fotomontaggio a mo’ di avvertimento. Insomma, non un caso fortuito, ma una morte programmata e addirittura annunciata da un nemico misterioso che evidentemente doveva conoscerlo bene ed era in grado di infiltrarsi tra gli invitati.
Ma di ch si tratta? E perché il Rigani è stato ricattato? Il mistero è fitto, ma intanto diverse informazioni, gradualmente, come attraverso la minuziosa composizione di un puzzle, permettono di ricostruire la vita e la personalità del morto, e si scopre che questi non era affatto il brav’uomo tutto casa famiglia e lavoro che traspariva dalla sua immagine “ufficiale”. Anzi, si trattava di un vero filibustiere, marcio fino al midollo.
Molte erano le attività in cui la sua corruzione aveva modo di esplicarsi, e alcune di queste ci portano a Marghera, dove Rigani, fra l’altro, possedeva alcuni appartamenti affittati ad amici di Ermete, che alle loro già numerose preoccupazioni hanno visto aggiungersi anche l’incubo dello sfratto, necessario per consentire al proprietario nuove e diverse speculazioni. E c’è dell’altro: a Marghera gli intrallazzi di Rigani hanno anche il colore dei rifiuti tossici (fra cui il terribile fosfogesso, ad alto potenziale radioattivo) presente, forse, in terreni su cui intende costruire edifici residenziali.
In combutta con lui c’è l’ex socio Becanti, tuttora titolare di una ditta di “spostamento terra” e vera anima nera della storia. Di lui si dice che negli anni Novanta si accompagnasse agli scagnozzi della mala del Brenta e a lui infatti vanno ricondotti non solo i peggiori vizi privati, ma anche dei crimini più crudi di cui si racconta nel libro.
Quali poi siano questi crimini, non è qui il caso di svelarlo, perché questo è un vero giallo dove fino alla fine il lettore è tenuto all’oscuro di alcuni fatti significativi e, in sostanza, come siano realmente andate le cose lo apprende solo nelle ultimissime pagine. Basti sapere che i morti sono più d’uno e per tutto il corso della narrazione si seguono due filoni d’indagine che poi, invece, si rivelano strettamente collegati fin quasi a fondersi in uno solo. E se l’azione è sempre movimentata, rapida, incalzante, anche con momenti di alta intensità drammatica (si veda per esempio la scena dell’agguato all’uomo che potrebbe avere informazioni sul giovane clandestino trovato ferito), da questo punto di vista il finale costituisce certamente un climax davvero coinvolgente. Assistiamo infatti ad un susseguirsi frenetico delle operazioni, con ripetuti rovesciamenti di prospettiva e spostamenti rapidissimi dei protagonisti (ora tutti direttamente in scena), per cui l’ambientazione cambia continuamente e i fatti precipitano verso la conclusione. Per di più questa sarà a sorpresa, deludendo le aspettative e portando a rivelazioni in cui tutte ipotesi si riveleranno sbagliate. Ma nessuno dei sospettati ne esce scagionato, né umanamente né sul piano della colpevolezza penale.
Le tecniche narrative
Il racconto fila veloce, condotto con uno stile che si mantiene sobrio senza però diventare piatto, e dove – in una struttura testuale sostanzialmente lineare – si uniscono sequenze narrative ed altre descrittive in un giusto equilibrio. Ottima, a mio parere, è poi la resa espressiva dei dialoghi, sempre essenziali, incalzanti, realistici. Ben riuscito è infatti l’intento mimetico del parlato, che acquista maggiore evidenza nell’alternanza dichiarata tra le forme quotidiane e colloquiali dei personaggi popolari e le locuzioni più forbite dell’aristocratico Ermete, ed anzi questo aspetto avrebbe potuto essere anche accentuato. Tutto il romanzo adotta comunque un linguaggio semplice e “mediano”, e l’assenza di artifici retorici o virtuosismi lessicali non significa assolutamente banalità.
C’è tuttavia qualche lieve caduta di tono. La voce narrante, che è esterna, onnisciente e di primo grado (quello che tecnicamente in narratologia si chiama narratore extradiegetico) risulta talvolta eccessivamente didascalica, specialmente quando fornisce chiarimenti dei personaggi, primo fra tutti Ermete: sono spiegazioni superflue ed inutili, che tolgono scorrevolezza e originalità al discorso narrativo, sia perché è già tutto chiaro, sia perché, soprattutto, per ottenere il medesimo effetto, in diversi passaggi la scrittrice utilizza con sapienza altre tecniche più elaborate e funzionali, cone l’assunzione del punto di vista del personaggio (focalizzazione interna) ed anche, eventualmente, al discorso indiretto libero. Ma in fondo sono dei particolari poco significativi: questo è un bel libro non solo forte di un contenuto interessante, ma anche scritto in modo gradevole e coinvolgente. (A me, professoressa di italiano, rimane anche qualche perplessità riguardo l’uso della punteggiatura, ma questa sarà sicuramente una mia deformazione mentale…)
Ermete Switzner
In questo libro non compaiono ispettori, commissari, questori, insomma le tradizionali figure investite di un ruolo istituzionale o professionale che giustifichi la loro attività investigativa. A indagare è Ermete Switzner, personaggio singolare, che impariamo a conoscere sia quando è impegnato in prima persona nella azione narrativa, sia indirettamente , in base al ritratto – talvolta impietoso –che ne fanno i suoi interlocutori.
Rampollo di una ricca famiglia veneziana di origini viennesi, ha abbandonato l’antico palazzo avito nel centro storico lasciandosi alle spalle anni di sofferenza e mortificazione. Un passato fatto, sì, di benessere economico e privilegi sociali, ma vissuto nell’oppressione di rapporti familiari di raggelante inconsistenza affettiva. Una madre egoista, superficiale, supponente, vacuamente attaccata al proprio rango e all’ostentazione di esso, un padre rigido ed intransigente che non ha esitato ad umiliare ripetutamente il figlio in nome di un ideale di virilità supportato da “terribili certezze” ne hanno provocato prima l’infelicità, poi la ribellione e la fuga. Lasciata la prigione veneziana, Ermete è approdato a Marghera, dove vive in un condominio popolare in mezzo ad operai, cassintegrati, casalinghe, immigrati: gente modesta, spesso ignorante, ma esperta, concreta e dotata di sentimenti e valori autentici. Insomma, gente vera che vive una vita vera.
Da chi gli sta più vicino Ermete è benvoluto ed apprezzato, nonostante ne venga sempre percepita la diversità, che egli alimenta mantenendo atteggiamenti piuttosto inconsueti: appassionato di matematica, trascorre il suo tempo a dimostrare teoremi e si concede solitarie escursioni notturne tra le fabbriche e i cantieri abbandonati, nello spettrale paesaggio di Porto Marghera, oggi.
La polizia sospetta confusamente di lui perché non ha risposte adatte a spiegare le sue stranezze, ma Ermete è solo un uomo inquieto, introverso, pervaso da un oscuro istinto di fuga da se stesso, alla ricerca di qualcosa di diverso, più solido ed appagante. E se qualcuno malignamente vede in lui soltanto un eccentrico snob, qualche altro, più sensibile o consapevole dei suoi difficili anni giovanili (l’amico Alessio, per esempio), sa scorgere sotto la scorza di scontrosa rudezza la generosità elargita con noncuranza, la disponibilità venata di malinconia, la tormentosa solitudine affettiva. Perché Ermete di affetto avrebbe veramente tanto bisogno, e più ancora dell’amore di una donna, nonostante sembri rifiutarne la compagnia come se volesse sottrarsi a qualsiasi coinvolgimento. Il fatto è che con le donne egli vive dolorosamente il disagio di una deformità fisica (quella stessa per cui il padre l’ha sempre tormentato) temendo di essere deriso e respinto. Senza rendersi conto che, invece, il disagio è solo suo e che anzi, agli occhi femminili, egli può apparire un tipo interessante e persino attraente, soprattutto per quel fare un po’ tenebroso che lo contraddistingue.
Se dunque Ermete si butta a capofitto nell’indagine, pur non avendo alcun titolo per farlo, non è solo perché i fatti misteriosi si verificano proprio là, dove ha scelto di abitare e sembrano coinvolgere direttamente i suoi amici. La motivazione vera è che finalmente, mettendosi in gioco personalmente, organizzando e partecipando addirittura alle “operazioni”, di cui almeno alcune si riveleranno davvero mozzafiato, può sentirsi vivo, attivo, autentico. Ed inoltre, scontrandosi direttamente con le varie realtà sociali ed esistenziali, di volta in volta squallide, dolorose, devianti, comunque lontanissime da quelle che costituiscono il suo personale background può mettere in atto un processo di conoscenza ed autocoscienza dagli effetti sconvolgenti ma educativi. Costretto a confrontarsi con un mondo “altro” Ermete capisce quanto la sua esistenza privilegiata l’abbia in realtà costretto in una prigione, privandolo della possibilità di avere contatti con la vita. E rimpiangerà di non aver dovuto (né potuto) sporcarsi davvero le mani, almeno una volta. Quando poi tutto sarà finito, quando dovrà tornare all’inazione di sempre, la sottile malinconia che si abbatte su di lui avrà il sapore inconfondibile della perdita.
La squadra
Se protagonista è Ermete Switzner, in realtà l’indagine è un vero e proprio lavoro di squadra. I suoi amici di Marghera intervengono tutti attivamente nelle operazioni, portando ciascuno la propria specifica competenza, distinguendosi chi per l’intraprendenza e la prestanza fisica, chi per l’acume o anche, semplicemente, per la capacità di ricorrere al vecchio ma sempre utile buon senso popolare. Ad Ermete viene riconosciuta l’autorevolezza della cultura, ma non mancano le occasioni in cui la sua totale incompetenza nelle cose pratiche della vita e del lavoro gli viene – più o meno bonariamente – rinfacciata, contrapponendo risolutivamente alla sua inesperienza il vissuto ben più consistente di ciascuno di loro.
L’anziano pensionato Gianni, ormai in disarmo, ma radicato ancora tenacemente ai ricordi degli anni ruggenti delle lotte sindacali che hanno animato la Marghera industriale, Dolores, la casalinga tutta cuore che arrotonda con lavori di sartoria, persino il contabile Beppe, che sa sempre dove mettere le mani quando bisogna trovare informazioni su bilanci e pratiche burocratiche, sono tutte figure ben delineate nella loro specificità.
Ma sono soprattutto Carmelo e Tonino, i due operai cassintegrati ad emergere nettamente sia nella dinamica dei fatti sia nella resa narrativa delle rispettive caratterizzazioni.
Il primo, “siciliano del nord”, è un uomo maturo, intraprendente, abile, ricco di risorse imprevedibili. Compresa quella di fingersi mafioso ed inscenare una falsa situazione di ricatto ed intimidazione ai danni di una donna “sospetta”. Salvo poi preoccuparsi di tenere la madre, con cui convive, all’oscuro di tutte le sue faccende, soprattutto la presenza nella sua vita di una giovane amante: si sa, mammà potrebbe essere gelosa…
Più triste è la situazione di Tonino. Lui è giovane, impulsivo, sincero, ma al momento la sua naturale giovialità è offuscata da un grande dolore: Anna, la moglie ucraina di cui era profondamente innamorato, l’ha lasciato per unirsi ad uno più ricco di lui. Il suo senso di sconfitta, l’incapacità di accettare gli eventi, l’infelicità del ragazzo sono evidenti a tutti, ma nessuno degli amici, per quanto partecipe, è in grado di offrirgli un vero conforto. Proprio la vicenda di Anna sarà poi in primo piano alla fine del libro, con un colpo di scena di grande effetto, ma con toni così crudamente drammatici da lasciare davvero l’amaro in bocca.
A completare la squadra – forse suo malgrado – sta Alessio, l’amico veneziano di Ermete, ora avvocato sposato con figli, trasferitosi in quella Mestre che, dopo l’iniziale rifiuto ha imparato ad accettare, se non proprio ad amare. Perché lui, di famiglia piccolo borghese non ricca né appartenente all’élite cittadina, non avrebbe mai potuto permettersi una residenza dignitosa nel centro storico.
Quella di Alessio è la voce della prudenza e dell’invito alla ragionevolezza, non tanto per un’innata nota caratteriale quanto perché lui è l’unico consapevole dei rischi impliciti nell’attivismo degli altri, che con nonchalance più o meno ingenua, e certamente a fin di bene, continuano a commettere infrazioni alla legge, illeciti e violazioni. Ma poi Alessio non si sottrae mai se la sua specifica competenza di avvocato risulta veramente necessaria, ed anzi alla fine, quando l’intervento della polizia non potrà più essere evitato e tutti i nodi stanno per venire al pettine, sarà proprio il suo intervento a sistemare le cose e a salvare “la squadra”.
Il sistema dei personaggi
Occasionalmente Ermete si rivolge per aiuto anche ai suoi amici africani, eritrei senegalesi che vivono in clandestinità, popolando una Marghera marginale e sotterranea, un universo a parte che altri residenti, forse, non riescono nemmeno ad immaginare. Tirando avanti con i lavori più umili, sottopagati e spesso pericolosi, pur senza perdere mai dignità e il senso della solidarietà reciproca. Da loro Ermete viene ad apprendere molte informazioni che gli interessano per la sua indagine, ma la lezione più importante che riceve da loro è di tutt’altro genere. Ancora una volta “l’eccentrico snob” (e il lettore con lui) deve prendere atto della propria inadeguatezza a contatto con la realtà di un’umanità disperata ma non annientata, che vive quotidianamente la lotta per la sopravvivenza.
Ma quello degli immigrati, specie se clandestini, è un sottobosco variegato, complesso ed infido. È fatto di gente non sempre amichevole né onesta, che alla mancanza di prospettive e di risorse ha contrapposto la reazione più dura e cattiva: individui senza legge e senza coscienza, profittatori, trafficanti, talvolta persino sicari e killer. Agiscono in proprio, o – più spesso- vanno ad alimentare i canali della malavita locale, associati per bande o assoldati da delinquenti mascherati da persone per bene.
Quest’ultima è proprio la situazione della nella vicenda narrata, dove non la manovalanza, ma i veri colpevoli, mandanti e responsabili delle numerose azioni criminose appartengono al mondo imprenditoriale, non a quello dei “veri signori” (!) di antica tradizione, bensì quello dei pervenu piccolo borghesi disposti a tutto per denaro, privi di scrupoli come di buon gusto, anzi volgarotti ed ignoranti quanto nessuno mai: si veda la folgorante descrizione di Becanti inchiodato ai suoi Rolex e braccialetto d’oro ….
Allo spregiudicato rampantismo economico si accompagna la squallida corruzione della vita privata: matrimoni e legami familiari asfittici e conformisti a coprire un vissuto parallelo fatto di amanti, prostitute, festini, droga, scommesse. Vizio e un’ossessione sessuale spinta fino alla perversione è ciò che corrisponde il loro concerto di divertimento e tempo libero. È tra questi loschi figuri che si consumano i peggiori delitti, anche se poi essi stessi sono a loro volta ricattati, truffati, attaccati in vario modo, cosicché spesso vittime e carnefici non si distinguono gli uni dagli altri sia per la rete di interazione che li tiene uniti, sia soprattutto per la comune materia di corruzione che impasta le loro esistenze.
A questo stesso mondo, sebbene non coinvolta personalmente in nessuna azione criminosa, appartiene anche Stella, fidanzata nientemeno che col figlio di Rigani, la prima vittima. Bella , disinibita, sexy e consapevole di esserlo è attratta da Ermete e, mentre lo aiuta (forse semplicemente per noia) cerca soprattutto di avvolgerlo nella sua rete di seduzione. Lui non si sottrae, ma al richiamo sessuale, comunque forte, contrappone il disprezzo che deriva dall’aver compreso la personalità della ragazza, l’egoismo mascherato da disinvoltura, la banale infantilità di alcuni atteggiamenti.
Persone e luoghi: un gioco delle parti un po’ troppo convenzionale?
T utti i personaggi, anche minori, sono collegati da una rete fittissima di relazioni e interazioni che si snodano anche in direzioni plurime e diverse (private, occasionali, ecc.) rispetto a quelle attinenti la vicenda principale. Questo espediente arricchisce il tessuto narrativo ed orienta abilmente il cosiddetto orizzonte d’attesa del lettore, creando i presupposti per eventuali conferme o, al contrario, provocando colpi di scena che ne smantellino le aspettative. E sotto questo aspetto il libro non manca di numerosi momenti interessanti.
Trattandosi di un giallo (fortemente tendente al nero) i ruoli corrispondenti alle tradizionali funzioni di Propp (protagonista, antagonista, aiutanti, ecc.- ), presenti in tutte le storie, evidenziano sostanzialmente vittime e carnefici, innocenti e colpevoli. Ma qui, invece, non tutto mi sembra completamente efficace. La contrapposizione è infatti rigida e assoluta, con una netta separazione di ordine economico, sociale e perfino etnico. I personaggi popolari sono tutti onesti, gli imprenditori sono tutti criminali, i clandestini africani sono buoni, quelli slavi cattivi.
Questa caratterizzazione si ripercuote anche nella rappresentazione dei luoghi che sono lo sfondo della vita dei protagonisti ed il teatro dell’azione narrata. Paesaggi, ambienti urbani esterni ed interni costituiscono infatti un sistema parallelo a quello dei personaggi, risentendo della medesima concessione alla convenzionalità. Alla Marghera operaia e proletaria che risente della crisi e lo rivela nella spettralità desolata del panorama industriale (eppure dotato di un quel sottile fascino che hanno le scene decadenti), si affianca una Mestre borghese ma in effetti composta da una pluralità di realtà completamente diverse, che si rispecchiano e rappresentano anche nella varietà – spesso disarmonica – delle sue forme urbanistiche ed architettoniche. E se il centro storico appare fisicamente ed idealmente lontano, bello ed impossibile, anche il dialogo Mestre-Marghera, presente seppure stentato, sembra essere affidato quasi esclusivamente agli immigrati che si muovono nei vicoli e negli altri non-luoghi della vita clandestina.
Stretto è invece il contatto con Treviso e il suo territorio, ma tutto in negativo, fatto com’è di intrallazzi, traffici illeciti, malversazioni ai danni di uomini e cose private e pubbliche. Con i suoi capricci, anche Stella contribuisce a costruire quell’immagine stereotipata della città in cui vive che parla di provincialismo, ostentazione e superficialità. La solita Treviso ricca, pettegola e sporcacciona.
Insomma, se il sistema dei personaggi appare forse un po’ troppo manicheo, altrettanto nella resa dei luoghi (che in un libro come questo è fondamentale) si alternano pagine di assoluto realismo ed interesse, godibilissime anche dal punto di vista narrativo, ad altre più scontate, che riportano un’interpretazione delle città prevalentemente basata sui preconcetti dell’immaginario locale. Non è escluso che ci sia molto di azzeccato, ma qualche sfumatura e magari il tarlo del dubbio avrebbero probabilmente reso il tutto ancora più vero.