LUISA CONZ, Lotta ad armi impari, Robin Editrice, Roma 2013
È già in libreria la seconda indagine di Ermete Switzner: è infatti uscito in settembre Lotta ad armi impari di Luisa Conz, sempre presso la Robin, l’editrice romana che di propone di presentare al pubblico libri gialli e noir che diano particolare risalto all’ambientazione, facendo di luoghi, storia e tradizioni locali vera e propria sostanza narrativa.Ritroviamo così l’eccentrico aristocratico veneziano che alla spettacolare residenza nel centro storico ha preferito un modesto condominio di Marghera, dove può coltivare amicizie e relazioni umane più rassicuranti e soddisfacenti di quelle che hanno tristemente attraversato i suoi anni giovanili. Ora Ermete appare un po’ meno irrequieto tormentato di quanto fosse nel primo libro, persino un po’ più sicuro ed appagato. Di nuovo c’è infatti che Stella, l’affascinante ragazza di Treviso che già abbiamo conosciuto quale artefice di capricci e provocazioni, non è proprio sparita dalla sua vita, nonostante il matrimonio con il fidanzato storico Valerio: anzi, ha preteso ed ottenuto di diventare amministratrice di palazzo Switzner e, soprattutto, ora intrattiene con Ermete una relazione fissa, benché accidentata ed ambigua. Non è amore, ma solo noia, attrazione ed anche puntiglio, perché Ermete, che pure la desidera e in fondo non si sottrae mai veramente ai suoi richiami, si mantiene però sfuggente ed elusivo, convinto della sostanziale equivocità del rapporto.
Con loro ritornano tutti gli amici di Ermete; cambia è però il ruolo che hanno nella vicenda, assumendo un peso diverso rispetto a Ricatto in laguna. Ora infatti non si può parlare tanto di lavoro di squadra nell’indagine, quanto di una chiara preminenza, peraltro non di tipo investigativo, da parte di Dolores, affiancata da Gianni (e naturalmente dallo stesso Ermete). Praticamente ridotti al ruolo di comparse gli altri amici, mentre anche gli interventi del giovane Tonino sono molto ridimensionati. Tutto concorre però ad attirare la simpatia del lettore su di lui, che, dopo il tragico epilogo che lo riguardava nel libro precedente, ora ritorna finalmente rasserenato, con un nuovo lavoro a contatto con la natura e soprattutto nuove prospettive sentimentali.
L’ambientazione, che si apre con una vivace rappresentazione del Forte e della varia umanità che lo frequenta e lo anima, rimane ovviamente a Marghera, data la residenza degli “inquirenti”, concedendosi poi frequenti sortite a Mestre. Quella che vediamo è la Marghera dei quartieri popolari e dei condomini dormitorio, delle strade dissestate e dei giardinetti asfittici, dove qualche squallido bar sembra essere l’unico polo di aggregazione per gli abitanti. Non solo operai sono però quelli che intervengono nella vicenda, ma persone di varia cultura e professione, perciò di un’estrazione sociale che è più corretto definire piccolo-borghese piuttosto che proletaria. Assente invece la componente degli immigrati, che era invece così rilevante e ricca di impatto narrativo nel libro precedente.
Del resto qui i risvolti sociali contano relativamente poco, come l’ambientazione stessa. Contravvenendo al proposito dichiarato dalla casa editrice per questa collana, Marghera non è nemmeno il luogo del delitto, perché i due omicidi di cui si parla avvengono uno sull’Ortigara, l’altro addirittura a Monaco di Baviera.
E se, stando all’introduzione premessa al racconto, si potrebbe dedurre che sia la splendida piana di Marcesina, sull’Altopiano di Asiago, ad aver assunto qui la funzione di scena del crimine, in realtà la scelta non è del tutto coerente, perché anch’essa rimane sullo sfondo, sostanzialmente estranea alla narrazione e alla vicenda che ne è oggetto. Ne deriva forse una sfasatura, un lieve effetto di straniamento, facilmente superabile, tuttavia se si è disposti a ignorare la premessa e a seguire semplicemente la trama, che è intricata e presenta svariati motivi di interesse.
La vicenda: una ragazza in fuga, un intrigo internazionale
Mentre si trova al Forte un giorno Ermete coglie casualmente alcune battute di dialogo tra due sinistri individui che progettano di eliminare un certo Nereo Gorbi. Naturalmente la situazione è di quelle che fanno drizzare le antenne: Ermete comincia così ad informarsi sul conto del Gorbi, scoprendo che è un giovane professore di chimica residente a Marghera, abituale frequentatore impegnato per la difesa del Forte dai tentativi di speculazioni immobiliari che lo minacciano da più parti. Ermete vorrebbe avvertirlo e magari ottenere da lui stesso qualche informazione ulteriore, ma il professore risulta irreperibile.
Qualche giorno dopo si verrà a sapere che stato vittima di un tragico quanto improbabile incidente lassù, in montagna…Naturalmente incidente non è, non può essere. Quei due hanno dunque messo in atto il loro piano. Ma perché? Che cosa aveva fatto Gorbi per provocare la loro reazione? E chi sono, costoro? Tra le ipotesi cui Ermete si affida in un primo momento, oltre alla pista del Forte, c’è quella che porta nel Vicentino, alla lotta contro l’inquinamento prodotto dalle concerie. Ma non c‘è nulla di sicuro, se non che il professorino doveva aver pestato i piedi a qualcuno fino a mettersi seriamente nei guai.
Intanto si apprende che esiste una sorella, con cui però Nereo non manteneva contatti. La ragazza dovrebbe vivere in Germania, ma nessuno è in grado di rintracciarla, finché…colpo di scena! Proprio lei si presenta all’improvviso presso un amico di Nereo. È sconvolta, terrorizzata, completamente fuori di sé per la paura e l’ansia di essere trovata da qualcuno che potrebbe averla seguita nel suo lungo e angoscioso viaggio per tornare in Italia. Ma oltre a ciò, non vuole dire nulla. Pur con qualche perplessità, Ermete non riesce ad abbandonarla in quelle condizioni: dapprima la ospita a casa sua, poi la affida alla generosa Dolores, che ben presto si affeziona e la accoglie sotto la sua ala protettrice. Ma Marika, la ragazza, è ben strana: alterna momenti di grande dolcezza ad altri di aggressività incontrollata, passa da manifestazioni di terrore a ostentazioni di crudo disprezzo nei confronti dei suoi interlocutori, soprattutto contro Ermete, che non desiste dai tentativi di sapere qualcosa di più sul suo conto e sulle ragioni della sua immensa paura. Che, naturalmente, devono avere un legame molto stretto con la morte del fratello.
Con un precorso tortuoso, fatto di parziali confessioni poi smentite, piccole rivelazioni seguite da altrettante evidenti menzogne, Marika qualche spiraglio lo apre, ma senza risultare mai del tutto convincente. Si verrà comunque a sapere che è una biologa e che in Germania aveva un compagno poi morto ammazzato; Nereo probabilmente è stato ucciso da qualcuno che in realtà voleva colpire lei, e la sua fuga deriva appunto dal terrore di fare la stessa fine. Ma poi le connessioni, i rapporti causa-effetto, le concatenazioni dei fatti, la misteriosa Marika si guarda bene dal rivelarli, anzi tenta in tutti i modi di intorbidare le acque anche riguardo la vera personalità del fidanzato Pierre (che forse Pierre non era), riguardo se stessa e i motivi autentici per cui si è messa in moto la complessa successione degli eventi. E la cappa di nebbia rimane fitta fino alle ultime pagine. Infatti, anche se nell’interrogatorio finale della ragazza e nei chiarimenti del commissario preposto all’indagine molte domande finalmente trovano risposta e i tasselli del puzzle cominciano ad incastrarsi al posto giusto, il quadro rimane sempre incompleto.
Chi è veramente Marika? Quanto sapeva – e sa – dei fatti tremendi a cui fa riferimento? È un’anima pura votata alla scienza, coinvolta suo malgrado in un losco affare, o una scaltra speculatrice pronta a tutto per denaro? Vittima, testimone, pedina inconsapevole? O complice, e magari assassina? Non sarà stata lei a uccidere chi ormai non le risultava più gradito o addirittura non rispondeva più ad un diabolico progetto di utilità? Buio fitto. Il povero Ermete dovrà continuare a lambiccarsi come ha fatto per tutto il libro e neppure alla fine verrà gratificato con uno straccio di verità certa, ma resterà con i suoi interrogativi più inquietanti. E con lui il lettore. Quello che si capisce chiaramente è che la posta in gioco è altissima, e il movente dei delitti – chiunque sia stato a commetterli – è veramente agghiacciante. Non riveleremo di più nemmeno noi, avvertendo comunque che il finale può apparire sconcertante. E non solo perché l’enigma è abilmente mantenuto inviolato fino alle ultime pagine, ma perché la conclusione rimane aperta, secondo una tecnica che personalmente trovo intrigante, ma potrà deludere chi si sentirà defraudato del piacere della verità conquistata e magari della giustizia ricostituita. Come prevedrebbe, lo “statuto” del giallo, almeno nella sua versione più tradizionale.
Ma allora di cosa si parla in questo libro? E a cosa specificamente si riferisce la lotta ad armi impari del titolo? L’argomento è uno di quelli che giornalisticamente vengono definiti di “scottante attualità” e riguarda l’estrazione, la lavorazione e il commercio del tantalio, con tutte le implicazioni di vario ordine che vi sono connesse.
Il Tantalio, o COLTAN, è un minerale metallico che si trova in abbondanza in Africa, soprattutto in Congo, Rwanda, Uganda, Burundi. Tutti paesi poveri e poverissimi, come si vede, dove il minerale, che è altamente tossico e pericolosissimo viene estratto e lavorato a mani nude da contadini e soprattutto bambini,, che soni in grado di insinuarsi con maggiore agilità nelle cave a cielo aperto. Non esiste alcun tipo di normativa o sindacato che possa tutelarli: ed infatti incidenti, contaminazioni e morte sono all’ordine del giorno, ma nessuno se ne cura. Questa è un’umanità derelitta e calpestata che non ha nessun riconoscimento né presso le autorità e le forze dominanti nel territorio, né agli occhi del mondo benestante che, dopo qualche attimo di attenzione e di sgomento – giusto il tempo di un documentario o di un’inchiesta che passa fugacemente in TV – se ne dimentica e la lascia al suo destino.
Altro che diritti o sindacato: qui non c’è proprio nessuna legge, perché la Democratica Repubblica del Congo (ex Congo Belga e poi Zaire) da più di quindici anni è dilaniata da una guerra civile ed etnica complicata e di inaudita ferocia che più volte è arrivata al genocidio (ricordate Tutsi ed Hutu?) e ad altri delitti contro l’umanità. A scontrarsi sono eserciti regolari, etnie, bande armate ed organizzazioni ribelli sedicenti “rivoluzionarie”, in un gioco al massacro in cui il Coltan ricopre un ruolo di fondamentale importanza, perché le mire espansionistiche e le rivendicazioni territoriali degli uni e degli altri puntano proprio al controllo dei giacimenti, che sono una risorsa economica di eccezionale portata.
Ma sono guadagni grondanti sangue, poiché il traffico è gestito dai cosiddetti “signori della guerra” che commerciano illegalmente e non tengono minimamente in considerazione i costi umani di tutta l’operazione. E poiché sul Coltan hanno messo gli occhi e le mani le multinazionali americane ed europee, che hanno tutto l’interesse a mantenere lo statu quo per impedire la lievitazione dei prezzi, ne è nata un’alleanza sciagurata, a fronte della quale gli organismi internazionali e le associazioni umanitarie risultano del tutto impotenti.
Il fatto è che il Tantalio trova svariati impieghi industriali, dal campo ortopedico-sanitario a quello dei reattori nucleari, ed è addirittura di importanza vitale per la produzione della componentistica elettronica, particolarmente nel settore della telefonia mobile. Per questo in un passato non molto lontano diverse multinazionali non hanno esitato a contribuire direttamente alla continuazione del conflitto finanziando gruppi di combattenti, per usufruire del minerale a prezzi stracciati, possibili solo col contrabbando in mano ai personaggi più loschi della cosiddetta “guerra mondiale africana”. L’azienda che ha tratto i maggiori profitti da questo traffico illegale in Congo è stata la H.C Starck, una ditta affiliata al gruppo chimico tedesco Bayer, mentre nel settore hi-tech Motorola, Nokia, Siemens, Ericsson e altre compagnie di punta sono state sono state oggetto di diverse inchieste giornalistiche e sono risultate variamente coinvolte.
Oggi si calcola che la corsa all’accaparramento del Coltan abbia portato circa undici milioni di morti, soprattutto bambini. E il numero, nella più totale indifferenza della comunità internazionale, è destinato a crescere. Per non contare che in Brasile, dove più recentemente sono stati trovati nuovi giacimenti, l’estrazione starebbe già portando al disastro ambientale per il progressivo smantellamento, in gran parte illegale, della Foresta amazzonica, e l’inquinamento delle fonti idriche. Con la conseguente estinzione di alcune specie e, soprattutto, con l’esodo forzato delle popolazioni locali.
Realtà e narrazione
Insomma, il tema è di quelli che fanno davvero accapponare la pelle, e va riconosciuto a Luisa Conz il merito di averlo sottoposto alla sensibilità dei lettori. Purtroppo però, dal punto di vista narrativo, molte delle intenzioni devono essersi perse per strada. Del problema vero si parla, ma non diventa sostanza narrativa: rimane sullo sfondo, mentre il racconto procede su altri binari. E lo dico non perché inizialmente vengono formulate svariate ipotesi investigative poi abbandonate (di piste false sono costellati tutti i gialli, ed anzi questo fa parte del gioco), quanto perché il tema principale, con tutto ciò che deriva, che dovrebbe mettere in moto la sequenza dei fatti, è soltanto riportato, riferito ipotizzato o spiegato a posteriori, secondo la tecnica del sommario.
Nulla accade in diretta: non le scelte e le azioni dei personaggi, né certo gli omicidi e neppure il loro rinvenimento. Tutto ciò che è concretamente aderente all’argomento di riferimento, tra le pagine del libro non lo vediamo mai: è già accaduto, in un altro tempo e in un altro luogo. In scena la narrazione porta solo una ragazza misteriosa ed imprevedibile, che prima si fa ospitare da Ermete e poi lo coinvolge, consapevolmente o no, nella sua stessa fuga senza peraltro concedere mai delle informazioni esaurienti. A parte i primi capitoli, tutto il libro consiste praticamente nell’estenuante altalena umorale di Marika, da cui Ermete esce frustrato nella sua ricerca di verità, confuso e disorientato anche sul piano relazionale, incerto tra l’impulso di proteggerla e il desiderio di mandarla al diavolo una volta per tutte.
Questo fa sì che, nonostante qualche colpo di scena e l’introduzione di alcuni elementi imprevisti, nonostante gli spostamenti dei protagonisti e l’ovvio cambiamento di scenario (sempre però ben lontano dai luoghi dove effettivamente si gioca la partita criminale), l’azione risulti forse eccessivamente lenta. L’ambigua ed sfuggente figura di Marika può avere il suo fascino, ma un’impostazione diversa avrebbe forse reso più avvincente il racconto e soprattutto, ridimensionando il blocco compatto costituito dalla tenebrosa, avrebbe potuto consentire di portare davvero in primo piano il problema etico e umano autentico. Problema doloroso e scioccante, ma, proprio perché vero, del tutto degno di interesse ed attenzione.