Giovedì 14 novembre il gruppo di lettura L’Italia in giallo, riunito per discutere di Ricatto in laguna, ha avuto il piacere di conoscerne l’autrice, Luisa Conz, che ha gentilmente accettato di partecipare all’incontro. Una signora amabile, simpaticamente diretta e ironica, che unisce ad una schiettezza disarmante la forza di una viva intelligenza. Con lei i lettori hanno potuto dialogare ed interagire, intuendo la ricchezza della personalità e la vastità delle esperienze vissute. La Conz infatti è stata ripetutamente in Africa e in America del Sud per lunghi viaggi di studio, e di ciò qualche riferimento è trapelato nel corso della discussione, senza che tuttavia si potesse essere trattarne diffusamente, perché ciò avrebbe portato troppo lontano (è proprio il caso di dirlo!) rispetto al tema principale dell’evento. Di argomenti interessanti ce ne sarebbero stati davvero molti: ma se quest’occasione non ha consentito di soddisfare pienamente certe curiosità, rimane sempre aperta l’ipotesi – e l’augurio – di un ulteriore appuntamento per approfondire conoscenza e dialogo, tanto più che la scrittrice ha rivelato di avere varie storie nel cassetto, alcune quasi pronte per essere affidate all’attenzione del pubblico.
Tutto all’insegna del ruolo autoriale l’esordio dell’incontro: come si direbbe a scuola, luci ed ombre della condizione di scrittore.
Innanzitutto il rapporto con l’editore, che nella fattispecie è la romana Robin Edizioni. Qui Luisa, che non è certo alle prime armi nell’attività narrativa, avendo nel proprio bagaglio i numerosi romanzi della serie di Aminta Marpalò, lascia trasparire una punta di dispiacere per la presenza di qualche incomprensione riguardo l’editing, non sempre accuratissimo, come invece vorrebbe qualsiasi autore. Solo entusiasmo, invece, emerge nei confronti della scrittura. Non che il processo creativo sia sempre facile, immediato e gratificante: al contrario, comporta spesso fatica e frustrazione, esige esercizio e dedizione, impone una disciplina ferrea e la costanza di precorrere anche attraverso ripetuti tentativi fallimentari la strada accidentata che porta al risultato artistico. Eppure, nessuna difficoltà può offuscare la soddisfazione della creazione, la gioia di vedere il compimento dell’opera e, prima ancora di questo, la sua costruzione, la genesi di fatti, personaggi, ambienti. Sul piano letterario, Luisa Conz dichiara di non avere maestri o modelli specifici ed esclusivi, ma sostiene che la scrittura non possa prescindere dalla conoscenza e dall’elaborazione di motivi ed idee in qualche modo scaturite dall’esempio di altri scrittori. Leggere, leggere, leggere è dunque ciò che fa durante la gestazione di un suo libro. Fino a che una storia, una situazione, un personaggio finisce per presentarsi da solo alla sua attenzione, imponendosi autonomamente – e imperiosamente – al suo ruolo autoriale. Come ha fatto Ermete Switzner.
Atteniamoci dunque a Ricatto in laguna, la prima indagine del facoltoso e un po’ strambo veneziano che indaga non per investitura professionale o ruolo istituzionale, ma per pura curiosità, o meglio, per volontà di coinvolgimento e partecipazione alla vita “vera”, lui che fino alla giovinezza ha trascorso i suoi giorni nell’inazione, ricco e socialmente privilegiato, ma privo di contatti umani e, soprattutto, defraudato della possibilità di provare esperienze autentiche e sinceri legami affettivi. Fino alla ribellione e alla fuga, culminata nella decisione di mollare tutto per cominciare finalmente condurre un’esistenza più libera ed intensa, non più nel palazzo di famiglia in centro storico, ma in un condominio popolare di Marghera.
Interrogata dai lettori di Spinea riguardo la genesi del personaggio, la scrittrice ha negato di aver voluto ritrarre in modo puntuale un individuo realmente esistente, benché naturalmente non si possa negare che l’esperienza reale di un autore ne influenzi sempre, seppure in misura variabile, l’invenzione creativa. Non ha neppure indicato precisi antecedenti narrativi, pur ammettendo di ispirarsi genericamente al maestro di tanti giallisti, il grande Simenon inventore di Maigret. Ermete è nato dunque pressoché interamente dalla fantasia di Luisa Conz, che con lui ha inteso creare una figura originale, uomo un introverso ed imprevedibile, per certi aspetti viziato, per certi altri vittima di una situazione esistenziale che sarebbe risultata difficile per chiunque, e che in lui ha appannato la visione del mondo e condizionato l’approccio nelle relazioni interpersonali, senza poterne tuttavia intaccare l’integrità etica ed intellettuale. Insomma, Ermete sarà forse un po’ bizzarro, ma è anche generoso, sincero ed onesto. Ma perché poi nessuno è perfetto, Luisa Conz ha pensato di bilanciare le qualità morali la sua creatura con un difetto fisico, neanche tanto lieve, in verità, ma evidentemente non così grave da togliere fascino ed attrattiva al personaggio, al di là dei complessi psicologici che è lui stesso a crearsi.
Eppure, come è stato osservato da alcuni lettori, nonostante alcuni elementi “forti” ed altamente caratterizzanti, Switzner rimane sostanzialmente sfuggente. Innanzitutto perché alcuni tratti della sua personalità sono enunciati ma non descritti, e tantomeno attivati sulla “scena”. Poi perché vari momenti e passaggi della sua esistenza, anche significativi e determinanti per fare di lui quello che è, sono appena accennati o addirittura omessi. Ermete comincia ad esistere, letterariamente parlando, solo dopo il trasferimento a Marghera e grazie all’incontro con quelli che diventeranno i suoi amici proletari. Ovvero, quando si fa coinvolgere nella sua prima indagine. Ma a quel punto è già uomo fatto. E prima? Il lettore si chiede che cosa mai sia successo nel suo passato, che cosa abbia determinato il precipitare dei rapporti precedenti, come sia andata a finire in varie circostanze che sappiamo essere state per lui tanto dolorose… E lo “strappo”, la decisione ribelle e liberatoria, ma certamente non indolore, come è avvenuta? Quando? Attraverso quale percorso? Se il vissuto antecedente di Switzner è stato tale da segnarlo in modo indelebile, non può essere ignorato. Fornire risposta a queste domande (una risposta narrativamente articolata) significherebbe dare spessore psicologico al personaggio e dotare di maggiore giustificazione numerosi particolari della sua caratterizzazione.
Del resto, con Ermete siamo solo all’inizio: Ricatto in laguna è appunto la prima indagine, vale a dire il primo libro: c’è tutto il tempo per completarne la definizione caratteriale ed esistenziale continuando la serie con nuovi titoli, e già Lotta ad armi impari, uscito nel settembre 2013, aggiunge qualche elemento in più, utile per conoscerlo meglio.
In fondo, così avviene per tutti i protagonisti dei polizieschi, che in Italia come all’estero generalmente vivono appunto all’interno di una “serie”. La costruzione è graduale, le personalità si chiariscono ed arricchiscono di libro in libro, parallelamente allo snodarsi di nuove indagini. Vistosi successi professionali accanto a clamorosi fallimenti, scelte sconsiderate e colpi di genio, azioni spericolate sul campo e minuziose ricostruzioni tutte indiziarie. Ma anche fatti privati e sentimentali, relazioni, litigi, incontri, amori e disamori. Talvolta si racconta di una crisi esistenziale che si accompagna ad un momento di stallo professionale. L’eroe sbaglia, vacilla, soffre, ma per lo più ritorna sulla cresta dell’onda, forte di un’acquisita consapevolezza e di una nuova maturità. In qualche caso si assiste ad un vero e proprio processo di formazione, oppure, in una fase editoriale successiva alla prima uscita, si recupera un momento precedente della vita del protagonista, una situazione pregressa significativa (per lui e per il pubblico). Ma ci sono anche scrittori che decidono di narrarne il declino inesorabile, l’invecchiamento, la malattia, la morte. I lettori di polizieschi conoscono bene queste tendenze della più recente narrativa di genere e, per ciascuno degli elementi cui si è qui accennato, sapranno certamente identificare gli autori e le rispettive creature.
Insomma, capriole del cuore e della mente nella vita di poliziotti ed investigatori, pur rischiando di oscurare l’aspetto più specificamente “giallo” della vicenda, progressivamente conferiscono ricchezza e credibilità ai protagonisti. Concediamo dunque anche ad Ermete l’occasione di crescere e maturare, come uomo e come personaggio,. Proprio il verbo crescere usa infatti Luisa Conz alludendo alla terza indagine, che sembra essere ormai in dirittura d’arrivo, anticipando ai lettori di Spinea che ci sono rilevanti novità: Ermete si mette in discussione, cambia ambiente, stringe nuove amicizie. Ci sarà anche un nuovo amore, capace di soppiantare la problematica relazione con la capricciosa Stella? Chissà, Luisa non si sbilancia e a noi non resta che aspettare di trovare in libreria la prossima avventura.
L’ambientazione veneta dei libri di Luisa Conz non nasce per caso: si tratta di una precisa indicazione imposta da vincoli editoriali, perché la Robin Editrice vuole proporre ai lettori storie in cui non compaia soltanto uno sfondo su cui far muovere i personaggi, ma la rappresentazione realistica di un determinato contesto urbano e territoriale, in un quadro attento agli aspetti storici e tradizionali, come alle configurazioni sociali più recenti ed attuali. E, prima ancora della serie di Ermete, in area veneta sono stati ambientati i numerosi romanzi della serie di Aminta Marpalò, investigatrice dal nome insolito, ma tutto impregnato di nobili reminescenze letterarie. Aminta è infatti il titolo di una favola boschereccia in versi di Torquato Tasso, e Marpalò altro non è che l’anagramma di Palomar, il romanzo di Calvino che Luisa leggeva mentre vi stava lavorando. (In verità, stranezza nella stranezza, qui Aminta è una donna, ma l’Aminta classico è un ragazzo, un giovane pastore protagonista di una commovente vicenda d’amore per la ninfa Silvia).
Per Ermete la location veneta si specifica più puntualmente come veneziana. Solo che dire Venezia non significa nulla di definito. La realtà veneziana è varia e multiforme, diversificata tra centro storico, terraferma e polo industriale: insomma, di Venezia non ce n’è una sola, ma ben tre, quelle che Luisa Conz chiama “Le Tre Sorelle”. E, a rigore, ce ne sarebbe una quarta, formata dalle isole della laguna. La Venezia insulare infatti fa pur sempre parte del medesimo comune, e soprattutto, col capoluogo presenta stretti ed ineludibili vincoli di carattere storico, economico e culturale. La scrittrice sembra però volerla ignorare, forse per la spiccata fisionomia locale, che fa pensare piuttosto ad una costellazione di piccoli mondi autonomi.
Tre sorelle, allora. Tra queste Luisa Conz predilige in maniera assoluta Marghera, quella che invece da molti ancora oggi è considerata la pecora nera. Disprezzata e ghettizzata, dopo essere stata per decenni demonizzata quale causa dell’inquinamento che appestava le località limitrofe, città dormitorio mortificata da un degrado sempre più devastante, infine solo ricettacolo di balordi, clandestini e disadattati formicolanti ai margini della legalità.
E invece no. Luisa Conz di Marghera sa cogliere aspetti interessanti e umanamente coinvolgenti, percepisce e rappresenta la poesia del luogo, l’attrattiva delle sue strade tranquille fatte di villette semplici, graziose, non lussuose ma sempre ingentilite da un fazzoletto di verde. È ciò che rimane della città-giardino, la Marghera progettata tra gli anni Venti e Trenta del Novecento per fornire ai dirigenti ed ai quadri intermedi della giovane industria anche un’adeguata sistemazione residenziale. Se poi, col trascorrere degli anni e il sovrapporsi di eventi, situazioni economiche e culturali quella destinazione è andata perduta, proiettando in senso proletario e popolare la configurazione sociale della città, ciò non ne ha contaminato, secondo la scrittrice, né la piacevolezza né l’autenticità. E se poi, ancora, una negativa congiuntura internazionale, culminata nell’attuale crisi ed aggravata in Italia da decenni e programmazioni politiche di varia (in)efficienza, ha provocato da un lato la totale decadenza degli insediamenti industriali, dall’altro un’accelerazione del processo di fuga dai paesi più poveri, per cui l’immigrazione, anche clandestina, ha assunto un ritmo sincopato che non sempre consente un adeguato inserimento nel tessuto della comunità urbana, ciò non smorza, ma anzi acuisce la volontà di indagare, capire, narrare.
È relativamente facile comprendere come gli impianti dismessi ed abbandonati possano svelare, a chi sa guardare con occhio attento, scorci suggestivi ed immagini che, pur nell’apparente desolazione dell’abbandono, mantengono una inconsueta, sottile e struggente grandezza, capace di evocare altri momenti ed altre condizioni, in cui la Marghera industriale era il centro pulsante della città. Ad esso si rivolgevano le aspettative, le speranze, i destini, ma anche i timori, la rabbia, le rivendicazioni di una vasta percentuale della popolazione locale, e non solo. Si sa, la decadenza ha il suo fascino. Meno immediato, invece, il motivo per cui le strade più periferiche, disastrate ed oggettivamente squallide possano risultare in qualche modo attraenti. Ma qui ciò che parla ad una mente libera da pregiudizi (e ad un animo sensibile alla sofferenza altrui) non è tanto l’aspetto esterno del luogo, quanto la presenza, spesso sotterranea ed invisibile, di un’umanità diseredata, emarginata e marginale, ma non vinta né priva di dignità. E, pur tra mille difficoltà, caparbiamente determinata a costruirsi un proprio progetto di vita.
È anche a questa umanità che pensa Luisa Conz, quando si riferisce a Marghera dichiarando tutto il suo amore: perché delle Tre Sorelle è quella più vera e sincera, l’unica socialmente (leggi: umanamente) accettabile. E se i lettori presenti all’incontro in Biblioteca hanno sostanzialmente condiviso la critica all’anonimato di Mestre, urbanisticamente confusa e socialmente tanto eterogenea da risultare indefinibile, qualche perplessità può invece aver suscitato il giudizio tagliente sul centro storico, bollato come invivibile baraccone sacrificato al turismo. Ma sono opinioni personali insindacabili. Marghera è l’unica realtà su cui Luisa si senta portata a scrivere, avendovi trovato, lei che non vi è nata e non si può in alcun modo considerare veneziana, un autentico “luogo dell’anima”. Invitata a considerare l’ipotesi di fare anche della terraferma – provocatoriamente estesa fino a Spinea – il teatro dove ambientare i suoi prossimi libri, la scrittrice è apparsa un po’ evasiva. Mai dire mai, però….il cuore batte altrove. La città dell’anima è quella e sembra destinata a rimanere la sola. Per le altre, al momento, sembra mancare l’input, quell’impulso ineludibile che fornisce l’ispirazione e spinge alla scrittura.
Per la verità, io credo che indagare e valorizzare le potenzialità poetiche di luoghi e contesti che di poetico apparentemente non conservano nulla, ovvero cercare il motivo d’ispirazione proprio dove non sembra esserci, sarebbe davvero una bella sfida. Proprio nella frettolosa ed indaffarata vita mestrina, appunto. O tra le calli e le corti nascoste della cosiddetta Venezia minore, ignorata dai turisti e dall’amministrazione, dove i negozi chiudono e i servizi non arrivano. Qui, tra i pochi vecchi sopravissuti ai cambiamenti della storia e della società, ogni tanto miracolosamente capita di vedere tre bimbi che giocano a pallone. E magari uno dei tre, quello che corre di più, ha la pelle scura…
Ma anche questa è solo un’opinione, e io non sono né scrittrice né artista. Ha ragione Luisa: l’elezione di un luogo dell’anima è un fatto tutto soggettivo, istintivo e non necessariamente motivato da valutazioni razionalmente articolate. Di più: non è neppure una vera scelta, ma piuttosto una specie di investitura, dove non sei tu che scegli, è il luogo che sceglie te. E dunque lasciamo Luisa Conz alla “sua” Marghera, con la speranza che voglia presto tornare a parlare dei suoi libri, portando non soltanto la piacevolezza delle storie che avrà saputo inventarsi, ma anche la ricchezza della sua esperienza di vita e la simpatia della sua personalità.
Un pensiero su “GIOVEDI’ 14 NOVEMBRE 2013 : INCONTRO IN BIBLIOTECA CON LUISA CONZ”