MAURIZIO de GIOVANNI: I Bastardi di Pizzofalcone, Einaudi , Torino 2013
Giuseppe Lojacono, detto il Cinese
Dopo Il Metodo del coccodrillo, ritroviamo l’ispettore Lojacono tra I Bastardi di Pizzofalcone, il primo libro di quella che si preannuncia come la nuova serie nata dalla fantasia di Maurizio de Giovanni.
E con lui ritroviamo anche Letizia e Laura, le due donne che, ciascuna a modo proprio, ne hanno un po’ mitigato l’amarezza del trasferimento ufficialmente “precauzionale”, in realtà punitivo da Agrigento a Napoli. Diversissime fra loro, la ristoratrice ed il magistrato hanno però qualche tratto che le accomuna: entrambe sole, entrambe private del compagno di vita, proprio ora, dopo un lungo silenzio del cuore, hanno sentito risvegliarsi in sé un nuovo sentimento. Merito, seppure involontario, di Peppuccio, ovvero Giuseppe Lojacono, che con quell’aria di ombrosa distanza ha provocato un terremoto emotivo che di sicuro dovrà portare qualche conseguenza. In Letizia, dolce, affettuosa, accogliente, quello che domina è quasi un istinto materno e protettivo, mentre la caparbia Laura Piras, spirito indomito e peperino, sembra esser animata soprattutto dalla volontà di infrangere proprio quel muro di riservatezza che lui contrappone a tutto e tutti.
In realtà, coccolato e nutrito dalla prima, rinfrancato dalla fiducia della seconda, che ha intuito le sue risorse investigative annullando emarginazione professionale in cui era caduto, Lojacono sembra a poco a poco aprirsi al mondo, guardando con minore diffidenza la città in cui ora si trova a vivere e le persone che lo circondano.
Anche sul piano familiare qualcosa sembra risolversi: mentre l’atteggiamento della moglie si fa sempre più aggressivo ed ostile, nel rapporto con la figlia adolescente sembra invece cominciata l’era del disgelo. Destinata ad evolversi, alla fine del libro, con un colpo di testa di Marinella, che riserverà al buon Peppuccio una sorpresa, piacevole, sì, ma tale da creare qualche complicazione nella gestione dei rapporti interpersonali. Tre donne per il medesimo uomo: si è detto già tutto. Età, ruolo, relazioni reciproche, persino la timida ma chiara propensione del Cinese, non contano: all’orizzonte si profilano venti di guerra. E se per il momento tensioni e rivalità rimangono latenti, nel prossimo futuro ne vedremo delle belle.
La novità più rilevante nella vita dell’ispettore riguarda però il campo professionale. Lasciato il commissariato di San Gaetano dove era approdato subito dopo aver abbandonato la Sicilia, incontrandovi solo una malsana curiosità per i suoi presunti trascorsi di mafioso, il Cinese si trova ora presso il Commissariato di Pizzofalcone, in una zona della città non precisamente altolocata, che va dai Quartieri Spagnoli fino al lungomare. Un distretto in realtà non del tutto infimo, che spazia piuttosto dal basso proletariato all’aristocrazia, passando attraverso tutti i livelli e le incarnazioni della borghesia. E che è piccolo ma strategico, come gli ha spiegato a suo tempo il commissario Di Vincenzo, sperando che accettasse il trasferimento.
I Bastardi di Pizzofalcone
Perché è anche famoso, questo commissariato, solo che il motivo per cui è giunto agli onori della cronaca non è la brillante conduzione di un’operazione clamorosa, bensì una brutta storia di devianza, per cui alcuni poliziotti si sono messi a spacciare in proprio l’eroina proveniente da una partita sequestrata. Dopo il fattaccio, smascherati, puniti, allontanati i colpevoli, ormai per tutti – e con buona ragione – i Bastardi di Pizzofalcone, il commissariato ha rischiato la chiusura, ma successivamente in alto loco è intervenuto un ripensamento. Restava però da reperire il nuovo personale, perché dalla bonifica non si era salvato quasi nessuno: da qui l’idea di dirottarvi gli elementi peggiori degli altri distretti cittadini, considerati irrecuperabili dai rispettivi dirigenti, che hanno trovato la formula magica per liberarsi dei loro sottoposti indesiderabili, o comunque indesiderati.
Così, ad eccezione di Ottavia, detta Mammina,e di Giorgio Pisanelli, il Presidente, tutti gli altri sono nuovi e volontari, ovvero trasferiti con loro stesso consenso. Perché ciascuno di loro ha avuto le proprie buone ragioni – personali o relazionali – per volersi allontanare dalla sede di provenienza dove erano disprezzati e invisi: come Lojacono che dopo aver finto (solo finto!) lunghi attimi di riflessione, si è potuto togliere lo sfizio di svelare a un incredulo Di Vincenzo: – Commissario, avrei accettato anche la Patagonia pur di andarmene di qui…
Io non so quanto tutto ciò sia verosimile. Comporre quasi di un intero commissariato con gli scarti delle altre sezioni mi sembra un rischio fortissimo di autogol, una mossa azzardata al limite della sconsideratezza. Non importa se poi questi scarti si riveleranno migliori degli altri: l’idea si partenza è quella. Ma De Giovanni ce la racconta così, e noi la prendiamo per buona. Magari ha ragione lui, le cose vanno davvero in questo modo. E dunque, erede senza colpa del titolo infamante di Bastardi, più propriamente attribuito ai poliziotti delinquenti che li hanno preceduti, un manipolo di reietti si prepara consapevolmente ad affrontare una situazione che è un’autentica sfida: nessuno si fida di loro, tutti sembrano aspettare soltanto l’errore, l’equivoco, il disastro.
La nuova squadra
I nuovi Bastardi hanno tutti nel proprio passato un precedente imbarazzante, un’onta che li ha macchiati rendendoli dei paria, e spesso hanno anche un segreto personale, vissuto a torto o a ragione come se fosse una tara caratteriale infamante, in cui affondano le cause delle loro manchevolezze professionali. In realtà, più che apatia o disamore, sono condizioni di dolore, insicurezza e fragilità emotiva quelle che ne hanno disturbato ed offuscato le prestazioni, e loro non sono colpevoli, ma solo anime in pena. Di Lojacono qualcosa già sappiamo. Degli altri, apprendiamo che la giovane Alessandra Di Nardo, su cui pesa l’accusa di avere una passione morbosa per le armi, apprendiamo che vive da sempre un rapporto conflittuale e psicologicamente devastante col padre, ex generale, che voleva a tutti i costi un maschio ed ha accettato la figlia all’unica condizione di farne un proprio clone. Condannandola così al’infelicità. Anche perché Alex, omosessuale, è costretta a nascondere la propria vera personalità, concedendosi solo qualche sporadico incontro clandestino.
Quello che invece non sa controllarsi, abbandonandosi talvolta agli istinti più primordiali e aggressivi, è Francesco Romano: come se, in determinate circostanze, un altro, qualcuno dentro di lui ma che non è lui, prendesse il sopravvento e si lasciasse andare a gesti inconsulti, esplosioni violente e irrefrenabili, di cui poi, inutilmente, Francesco sarà il primo a provare orrore. Così è stato in qualche interrogatorio nel commissariato da cui proviene, così accade anche a casa, nel corso di quella che doveva e poteva restare una banale discussione con la moglie, peraltro amatissima. Che non saprà resistere al disincanto e al terrore che le incute quell’uomo che lei tanto tempo prima aveva scelto sperando ingenuamente di riuscire a cambiarlo col proprio amore.
E poi in squadra c’è un personaggio sui generis che risponde al nome di Marco Aragona: un giovincello con discutibili pretese di eleganza, ignorante, maldestro, inopportuno. Ma se in commissariato nessuno è disposto a concedergli il minimo credito e né a perdonargli il più piccolo fallo, non è per i suoi (numerosi) difetti né per la superficialità del suo atteggiamento, bensì perché già prima del suo arrivo è stato preceduto dalla fama di raccomandato. E in effetti, nipote di un prefetto, Marco è approdato alla polizia attraverso un percorso non proprio canonico; così i colleghi lo disprezzano, Laura Piras sembra addirittura odiarlo e persino il buon Luigi Palma mostra scarsa simpatia per lui. Però la stoffa del poliziotto il ragazzo ce l’ha davvero, e a breve saprà dimostrarlo.
I due “vecchi” del gruppo, Mammina e il Presidente, invece, non devono dimostrare proprio nulla. La loro estraneità ai crimini che hanno portato il commissariato di Pizzofalcone in prima pagina è stata ampiamente provata, e proprio per questo essi sono stati confermati in sede. E poi Ottavia e Pisanelli hanno qualità e pregi che ne fanno due punti di riferimento imprescindibili per la squadra, nonostante la loro scarsa attitudine al lavoro attivo sul campo. Lei, esperta di informatica, o quanto meno abilissima navigatrice in rete, offre in tempo reale informazioni e altri contributi preziosissimi alle indagini. Lui, un po’ svagato ed apparentemente demotivato, da sempre residente nel quartiere in cui presta servizio, è una miniera di notizie, l’autentica memoria storica del commissariato, che oltretutto dispone di una rete insostituibile di contatti ed agganci strategici, magari informali, ma vitali per le indagini.
Ma neppure Ottavia e Giorgio si sottraggono a quello che sembra essere il destino comune di tutti i Bastardi: un vissuto personale travagliato o quanto meno insoddisfacente. Ottavia, sposata ad un uomo affettuoso, attento, innamorato, insomma, per sua stessa ammissione, “perfetto”, paradossalmente si sente prigioniera proprio di questa perfezione. Vorrebbe fuggire lontano, ma non può, e non solo perché lui non se lo merita, ma anche e soprattutto perché a soffrire di più sarebbe Riccardo, il figlio ormai quasi adolescente affetto da una grave forma di autismo, che vuole solo lei, la sua Mammina. Ottavia sa che non può lasciarlo. E se qualche pensiero vagabondo sconfina verso l’immagine di un uomo che non è suo marito (perché uno ce n’è, effettivamente) ecco subito in agguato il senso di colpa, l’impressione tormentosa della propria inadeguatezza.
Giorgio Pisanelli invece è vedovo: la sua adorata Carmen l’ha lasciato dopo una lunga malattia, che lei ha voluto chiudere prematuramente, forse spaventata dall’ipotesi di un dolore insopportabile. Giorgio non si è mai piegato alla morte di lei, la sente sempre accanto a sé, le parla, le confessa ogni suo pensiero ed emozione, specialmente quel rovello che mai l’abbandona riguardo alcune morti sospette avvenute in quartiere. Archiviate come suicidi, ma con troppi particolari che non quadrano. È vero, si trattava sempre di vecchi soli, poveri, forse senza più uno scopo nella vita, ma Giorgio non è convinto e, da solo, contro il parere di tutti, un po’ tollerato e un po’ compatito, continua la sua personale ricerca. Non lo approva neppure don Leonardo, l’unico amico rimasto, che però almeno ascolta con quelle che agli occhi di tutti sono solo le elucubrazioni di un uomo troppo solo. A vederlo sembra un bambino, Leonardo, o piuttosto un elfo birichino, ma in realtà ha grande esperienza dell’animo umano, specie nelle sua manifestazioni più tormentate e sofferenti, e conosce molte situazioni penose come quella di Giorgio. Solo lui sa che anche il Presidente è ammalato, di un male grave e un po’ umiliante, ma non vuole curarsi, perché non gli dispiace di morire, se questo gli permetterà di ritrovare la sua Carmen. Non prima, però, di aver risolto il mistero dei presunti suicidi…
A guidare il gruppo è il commissario Luigi Palma, già noto a Peppuccio Lojacono (e ai lettori) dall’indagine sul Coccodrillo. È un altro cuore solitario, ormai quasi sul punto di sbandarsi per il lungo inverno sentimentale in cui sta vivendo, ma in realtà la sua è una natura espansiva, cordiale, aperta. Ha accettato con entusiasmo la sfida del nuovo commissariato che nessuno voleva e tutti gli sconsigliavano: incarico difficile, rognoso, infido. Ma a lui le cose difficili piacciono, gli mettono in circolo una frizzante voglia di fare, che cerca appassionatamente di trasmettere anche ai suoi sottoposti. Dirige infatti il gruppo con mano ferma, ma anche con autentico calore umano, rispettando le personalità di ciascuno. Nella sua squadra non vuole rivalità, ma spirito di corpo ed efficienza, non arrivismo, ma solidarietà e dedizione. E in effetti, dopo un breve attimo di sconcerto per questo capo che si fa chiamare Gigi e per principio non chiude mai la porta del proprio ufficio, la squadra risponde: pronta, solerte, unita. Forse non ancora stretta da vincoli di amicizia, ma certo priva di competitività, se non quella che serve per dimostrare a tutti che i Bastardi, al di là del titolo infamante, sanno lavorare, e anche bene.
Le indagini
In questa storia i casi da risolvere sono sostanzialmente due, perché la terza linea investigativa è quella che corrisponde ai fantasmi di Giorgio Pisanelli, il quale, almeno per il momento, non approda a nessun chiarimento definitivo.
Il crimine più grave, a cui lavora tutta la squadra, è l’omicidio di una anziana donna della Napoli bene, colpita a morte, per tragica ironia, proprio con un oggetto che doveva esserle molto caro, una sfera di vetro di quelle che, se agitate, fanno piovere all’interno un cascata di neve … un oggetto dozzinale e di pessimo gusto, certo non adatto alla sua splendida casa piena di opere d’arte e di argenteria. Ma che lei amava alla follia, al punto da collezionarne centinaia di esemplari: una mania innocente, il vezzo di una donna ricchissima ma molto sola e quasi in odore di santità, che sopportava con encomiabile abnegazione i ripetuti e spesso umilianti tradimenti del marito. Il quale, nato povero ma divenuto poi notaio affermato e molto noto in città, insignito da una rete di relazioni sociali, professionali e politiche di tutto rispetto, si troverà forse a perdere ignobilmente la faccia. Perché naturalmente è lui il primo sospettato, tanto più che al momento sembra coinvolto in un rapporto sentimentale più serio ed impegnativo dei precedenti con una donna alquanto esigente, che più volte gli ha imposto di liberarsi della moglie. Ma, come sempre accade, la soluzione dell’indagine porterà in una direzione completamente diversa e sarà la rivelazione di una situazione in fondo piuttosto comune e banale, per quanto inaspettata.
Umanamente (e narrativamente) forse più interessante è il secondo caso, di cui si occupa con caparbia dedizione soprattutto la giovane Alessandra Di Nardo, particolarmente colpita dalla condizione di segregazione cui appare costretta una bellissima ragazza, chiusa in un appartamento da cui non esce mai, e dove periodicamente la raggiunge un uomo molto più anziano, che con tutta evidenza non è il padre. Alex sospetta si tratti di violenza e sopraffazione, ed è ben determinata a porvi fine. Ma dovrà ricredersi. La verità, infatti, è diversa, e forse ancora più squallida. Perché la ragazza, con il benestare della madre è perfettamente consenziente a darsi al vecchio, perso dietro impossibili sogni. Ben consapevole che il patrimonio di cui dispone è a scadenza, lei intende farlo fruttare il più possibile mentre è in tempo, calcolando con gelida razionalità fino a dove potrà arrivare con le proprie richieste. Per sé e per la famiglia. Se violenza c’è, qui è solo quella della povertà e della miseria intellettuale, unite alla palude morale di chi pensa di non avere nessun’altra risorsa e perciò vende quello che può, con una rassegnazione cupa eppure avida, che trascorre di generazione in generazione. Decoro, dignità, rispetto di sé, per questa gente, sono parole senza senso. L’unica prospettiva di riscatto sentita come possibile non passa attraverso un’affermazione di dignità personale, ma riconosce solo il linguaggio del denaro e il bagliore dei più vieti status symbol.
La scrittura
L’episodio, intenso e tristissimo, è di un’agghiacciante bellezza. Il quadro del “basso” da cui proviene la ragazza, la laida presenza dei personaggi, la brutalità del linguaggio e del pensiero, tutto è rappresentato con un realismo e un’efficacia che rendono impossibile dimenticare queste pagine anche dopo la conclusione della lettura.
Ma altrettanto interessante e pregnante, seppure in tono più smorzato, è il ritratto della Napoli ricca ad aristocratica, certo più raffinata, ma non sempre intellettualmente e moralmente migliore di quella plebea. Si veda, per capirlo, l’incontro dei poliziotti con la baronessa Ruffolo al circolo nautico, dove l’anziana nobildonna, incartapecorita ma lucida, traccia un quadro impietoso di quell’ambiente bene in cui lei stessa si muove e intrattiene relazioni e clientele. Cambiano l’estrazione sociale, il linguaggio, la psicologia dei protagonisti, ma la capacità di coinvolgimento, la forza descrittiva, la felicità espressiva dell’autore rimangono immutate.
Proprio la resa socio-culturale e interiore dei diversi esemplari della fauna cittadina, sia trattati individualmente sia inseriti in un affresco più ampio e complesso, costituisce dunque, a mio parere, il punto di forza del libro, un pregio indiscusso delle scrittura di Maurizio De Giovanni, anche quando si parla di elementi minori (come, per esempio, i dipendenti dello studio notarile).
Con ciò mi riferisco soprattutto ai personaggi “esterni”, tratteggiati ora con partecipazione, ora con un velo di ironia, ora infine col distacco di uno sguardo critico, ma pur sempre figure a tutto tondo. Quanto ai poliziotti del commissario Palma, invece, la caratterizzazione rimane per ora più schematica e proposta talvolta in forma un po’ troppo didascalica, sicuramente per l’esigenza di farli preventivamente conoscere al pubblico. E del resto anche la scelta della coralità narrativa, derivante dalla volonta di porre al centro della storia, sacrificando l’idea del protagonista unico, se da un lato consente di movimentare e vivacizzare il racconto, dall’altro implica necessariamente una certa essenzialità nella descrizione individuale.
Ma certamente, nello sviluppo della serie editoriale (perché serie pare proprio che sia destinata a diventare) ciascuno di loro avrà tempo e modo di assestarsi e crescere, professionalmente e narrativamente. Aspettiamoli, non ci deluderanno: sono o non sono i Bastardi di Pizzofalcone?