CARLOTTO, VIDETTA E IL TERZO AUTORE

cover.pngCome si sa, Le Vendicatrici (Kesenia, Eva, Sar, Luz),  è stato scritto a quattro mani da Massimo Carlotto e Marco Videtta.
Su Carlotto, notissimo agli appassionati di gialli e noir, non mi pare il caso di aggiungere nulla, mentre a proposito di Videtta, meno presente nell’enciclopedia mentale di chi si dedica soprattutto alla lettura,è forse il caso di ricordare che, pur avendo pubblicato anche narrativa, è attivo soprattutto come sceneggiatore, story editor e produttore di fiction televisiva e cinematografica. I due scrittori, accomunati dalla costante attenzione nei confronti della realtà contemporanea, avevano già collaborato alcuni anni fa per Nordest, rielaborazione letteraria di un fatto vero, presto divenuta un bestseller. Da quella fortunata esperienza sono rimaste la voglia e la determinazione di riprendere un discorso temporaneamente accantonato ma mai del tutto interrotto, assecondando un’esigenza critica fattasi particolarmente urgente sull’onda del rapidissimo e caotico evolversi della società attuale.

indexIntervistato a proposito di questa seconda collaborazione, ecco come Videtta evidenzia la volontà di costruire un romanzo polifonico tutto al femminile: Negli ultimi due decenni, il nostro paese ha subito una involuzione profonda in chiave antropologica, anche dal punto di vista della condizione femminile e del rapporto maschio-femmina. Abbiamo così cominciato a ragionare su quattro protagoniste femminili, diversissime tra loro in tutto e per tutto: provenienza geografica, condizione sociale, comportamentismo caratteriale. Per me è stato molto interessante, perché ero abituato a partire da una trama e solo in seguito a sviluppare i personaggi. Questa volta è stato l’opposto, al punto che abbiamo modificato certi sviluppi di trama perché erano le nostre protagoniste a dettarceli. […] Per me è stato molto interessante, perché ero abituato a partire da una trama e solo in seguito a sviluppare i personaggi. Questa volta è stato l’opposto, al punto che abbiamo modificato certi sviluppi di trama perché erano le nostre protagoniste a dettarceli.
Quasi identica la ricostruzione delle motivazioni e del proposito di scrittura proposti da Carlotto, che però pone l’accento soprattutto sull’aspetto socio-politico: Tre anni fa con Marco Videtta abbiamo cominciato a ragionare sulla relazione tra mondo femminile e crisi economica. Abbiamo capito come la crisi stesse ulteriormente erodendo i diritti delle donne, attraverso il ricatto economico.  E che di conseguenza l’escalation di violenza contro le donne avrebbe arricchito molto la cronaca degli anni a seguire.  E su questo abbiamo pensato di costruire un romanzo, anzi quattro romanzi.
imagePur nell’amicizia, nella reciproca disponibilità, e nella comunanza degli interessi culturali, è comprensibile che le differenti specificità professionali degli autori, le diverse personalità e ovviamente le rispettivi tendenze stilistiche abbiano avuto un  certo peso. Un  lavoro condiviso di produzione originale, com’è la scrittura narrativa, presuppone ovviamente  un grande impegno di coordinamento, confronto e revisione.

È ancora una volta Videtta a fornirci alcuni elementi di comprensione: […] la nostra collaborazione si basa su due fattori essenziali: onestà intellettuale e abbandono di ogni vezzo egocentrico. Non sempre è facile, naturalmente. A volte bisogna rinunciare a qualcosa. Ma quello che si guadagna è sempre di più. Negli anni abbiamo sviluppato un nostro modus operandi: il lavoro più importante è quello preliminare, durante il quale costruiamo trama e personaggi. Poi in fase di scrittura ci assegniamo dei blocchi narrativi che, dopo la prima stesura, ci scambiamo dando all’altro piena libertà di intervenire, riplasmare, modificare. […] Devo dire che ormai ci conosciamo così bene che a volte non modifichiamo nemmeno una virgola, eppure una volta raggiunto il risultato finale, nessuno si accorge di particolari differenze, il testo scivola come un unicum scritto da un solo autore. 
Questa collaborazione perfettamente fluida ed armoniosa, proprio in quanto tale, non può non avere lasciato la possibilità di riscontri. È sempre Videtta che ce lo conferma: […] La scrittura finale è diversa dalla mia o da quella di Massimo quando scriviamo i nostri romanzi in solitario. Tra di noi ci diciamo spesso che abbiamo creato un “terzo autore”, a cui prima o poi dovremo dare un nome…
anonimoEcco, appunto. Videtta non ci dice di più, ma a me piacerebbe soffermarmi un poco appunto su questo fantomatico Terzo Autore e le sue peculiarità di scrittura. Premesso che il mio termine di confronto si limita a Massimo Carlotto, di cui conosco un certo numero di libri prodotti in proprio, vorrei azzardare qualche osservazione riguardo lo scarto rispetto all’usus scribendi individuale, naturalmente senza nessuna pretesa di esattezza ed esaustività, basandomi su un certo “orecchio” formatosi grazie ad una tenace ed onnivora passione per la lettura. Trascurando alcuni aspetti già evidenziati in un precedente articolo, mi pare di poter ora definire alcune differenze sia stilistiche sia concettuali. La cifra espressiva rimane sostanzialmente simile, ovvero estremamente sintetica, secca e paratattica, ma ora introduce nella scrittura elementi di maggiore estensione e distensione, si fa più descrittiva  e talvolta ammette qualche passaggio di natura riflessiva. Rispetto all’espressività rigorosamente minimalista che Carlotto ci ha fatto conoscere – e riconoscere – come specificamente sua, scarnificata spesso fino all’osso, dove intere sequenze sono costituite da frasi ridotte all’essenziale e accumulate a raffica, qualche differenza indubbiamente c’è.

Ma lo scarto più significativo si riscontra, a mio parere, nel modo di interpretare la vicenda, ovvero nel senso complessivo di questi libri, dove, pur nella negatività della rappresentazione sociale ed umana, si fa strada un barlume di luce. Nulla di esageratamente roseo o mieloso, naturalmente, soltanto qualche particolare positivo, che di tanto in tanto allenta la tensione narrativa ed emotiva, aprendo uno spiraglio di speranza. Ed evidenzia un’indubbia evoluzione rispetto ad altri  testi assolutamente e disperatamente neri come Arrivederci amore, ciao o Alla fine di un giorno noioso, per citarne soltanto alcuni. Lo stesso  Carlotto motiva così: In questa fase della storia italiana, è importante … passare dalla letteratura della crisi alla letteratura del conflitto.  Questi quattro romanzi raccontano proprio il conflitto nato dalla crisi, che non è solo un conflitto di tipo sociale ed economico, ma è anche antropologico, culturale. Perché la crisi sta modificando tutto. […] Quello che a noi premeva era di dire in maniera molto chiara che oggi le donne devono aprire un conflitto nei confronti di questo mondo maschile sbagliato. Questo è un compito che si devono assumere sia uomini che donne. L’idea delle vendicatrici è un’idea politica. 
Dunque, per descrivere le Vendicatrici,  bisogna pur sempre cominciare dalla rappresentazione del male. Che qui è comunque completa, impietosa e purtroppo del tutto realistica, presentando la criminalità nelle varie declinazioni in cui si concretizza all’interno della società contemporanea.  Una società telematica, ipertecnologica, globalizzata che fornisce alla delinquenza risorse e strumenti sempre più evoluti e sofisticati per sfruttare, assecondandole e manipolandole, le pulsioni in cui si coagulano desideri, tendenze, dinamiche relazionali e a cui proprio la crisi offre nuova linfa e nuovi orizzonti in cui espandersi. C’è proprio di tutto, dal racket delle ragazze dall’Europa dell’Est, allo strozzinaggio, al riciclaggio di denaro sporco, dalla speculazione edilizia all’occultamento di rifiuti tossici, dall’evasione fiscale alla schiavizzazione umana, dal gioco d’azzardo allo spaccio di droga.
CaseRomaQuesto enorme immondezzaio  si concentra a Roma, focalizzandosi in un quartiere che rimane volutamente anonimo: un quartiere qualunque in una città tutta in varia misura violenta e malavitosa. E comunque il raggio d’azione della rete criminale  è  ben più ampio di un quartiere ed interessa uomini ed istituzioni addirittura a livello internazionale.  Nell’orrendo zoo allestito da Carlotto e Videtta le tipologie umane della delinquenza comportano una lunga carrellata di vite malvissute. C’è lo strozzino che tiene in pugno ico_829062013130120_bastonel’intero rione, e orchestra l’attività di bande e congreghe rendendosi complice di varie organizzazioni mafiose italiane e straniere. Ai suoi ordini una serie di emissari  che spaziano dal factotum azzimato ed elegante al poliziotto corrotto e colluso, fino alla bassa manovalanza più bieca, ignorante ed ottusa. Ma non per questo meno pericolosa, come i fratelli responsabili dello stupro di Sara, due balordi tutto testosterone e niente cervello, iscritti nel libro paga di Barone, ma in realtà troppo idioti per poter resistere a lungo al suo servizio.
AUTO-incendiata-corteoMa i delinquenti di Carlotto e Videtta non sono sempre gli scarti ebeti della società, oppure orridi personaggi alla Antonino Barone o i brutali sicari slavi o, per citare solo alcuni elementi dal campionario: possono talvolta ammantarsi di perbenismo e rispettabilità, atteggiarsi ad imprenditori di successo di gusti raffinati e prestigiose frequentazioni, possono apparire belli, eleganti e fascinosi, come Giorgio Manfellotti e più ancora Natale D’Auria. In realtà si tratta sempre di sordidi individui, manipolatori di fondi neri, speculatori, ricattatori e, all’occorrenza, mandanti di spietate esecuzioni. E per tutti, comunque, la musica suona solo due note: l’avidità di denaro, la sete di potere. E poi, come poteva mancare  un uomo di chiesa, in questa Roma corrotta e criminale? Ecco dunque don Carmine Botta, confessore, amico e “collaboratore” dei fratelli Barone, dunque non solo pastore di anime, ma consigliere scaltro e scafato, disponibile ad interpretazioni elastiche e personalizzate del dettaimagesaato evangelico. E, all’occorrenza, anche molto di più: ricettatore, smistatore di denaro sporco, anello di congiunzione tra i Barone e figure più in alto di loro nella gerarchia della criminalità. O meglio, più in alto di Assunta, che alla morte del fratello tenterà di assumerne l’eredità reggendo le fila di quel gioco nero in cui lui era maestro. Ci riuscirà solo per breve tempo e, dopo una serie di pasticci che la mala non può perdonarle, verrà naturalmente scaricata anche dai presunti amici, tra cui il bravo ministro di Dio. Con una mano all’acquasantiera e una alla cassaforte.
E perché nella criminalità dominata dalla sete del denaro l’amicizia è solo una parola che risuona a vuoto, tradire Assunta sarà anche Carmen, in apparenza solo una sgraziatissima e rozza commerciante, in realtà faccendiera con le mani in pasta in innumerevoli traffici ai margini della legalità, e, in ultima analisi, vera donna di potere, anima nera spietata e brutale che non esita a macchiarsi persino di omicidio.ARMI-E-SOLDI-CAMORRA0_Public_Notizie_270_470_3
Infine, a tratti grottesco, a tratti paradossalmente dotato di una sua malefica grandezza, c’è il capoclan di origini zingaresche Serse Mascherano, lo zio, che  gestisce con la medesima autorità dittatoriale le molteplici attività criminali e la vita della sua gente, schiavizzata e piegata all’obbedienza col terrore e l’annullamento della volontà individuale. Serse è in grado di dominare da sovrano assoluto un suo quartier generale interamente abusivo completamente autonomo, in cui non solo la gente normale, ma neppure le forze dell’ordine hanno il coraggio di avventurarsi. Un’enclave mafiosa, uno stato nello stato – che non è il Vaticano – nel cuore della capitale d’Italia. Fuori da ogni legge e da ogni  regola, da ogni relazione umana  che non sia quella del clan.

E proprio questa situazione assurda ci  permette di collegarci ad un ulteriore tassello utile a ad arricchire la carrellata già così ampia e documentata dell’ingiustizia sociale, fornito dalla storia di Maribel, nel quarto volume, intitolato a Luz.  Per una volta però gli autori abbandonano Roma e ci portano lontano, in una realtà da noi  percepita come remota e un po’ aliena (evidentemente a torto, come Mascherano dimostra)1472FN26-copy, dove persistono tuttora diffusamente e “normalmente” ruoli, condizioni e strutture sociali di stampo feudale, che l’Europa moderna ed evoluta tende a considerare retaggio di un Medioevo barbarico definitivamente scomparso dal suo territorio. Dalla Colombia misconosciuta, presente nel nostri immaginario quasi esclusivamente per sporadiche notizie sul narcotraffico, arriva infatti una vicenda di arroganza, sopruso e sopraffazione che vede contrapposto chi interpreta – illegalmente, ma in piena impunità – la parte del signore padrone, e chi subisce, invece, quella del servo.
In mezzo stanno i diversi gradi della gerarchia di vassallaggio, ma con un’unica fondamentale differenza rispetto feudalesimo vero, a che non è quella sin troppo banale dell’inadeguatezza cronologica, come se lì il tempo si fosse fermato. No: la differenza sta nel fatto che nel Medioevo feudale esisteva una legge imperiale che regolamentava l’assetto istituzionale, esistevano soprattutto ideali e valori cavallereschi che nobilitavano e temperavano i costumi. Tutto questo, nella Colombia dei Montealegre, non è minimamente contemplato; piuttosto, accanto alla persistenza di istinti primordiali incontrollati e di usanze semibarbariche di inaudita brutalità di alcuni (cui fa ricampesino_colombiano_500scontro la condizione di subumano assoggettamento da parte di altri), la modernità ha fatto il proprio trionfale ingresso in termini di organizzazione criminale, disponibilità di armi e strumenti tecnologici d’avanguardia utili al controllo del territorio e alla gestione delle diverse attività delittuose. Perché, naturalmente, le vastissime piantagioni di caffè di cui i Montealegre sono proprietari sono poco più che una  copertura: ben altri sono i traffici su cui si fonda il loro impero. Traffici senza legge, naturalmente, tramite i quali questi uomini il cui vissuto personale e sociale affonda le proprie radici nei cosiddetti secoli bui, si inseriscono, con un ingranaggio perfettamente oliato, nella realtà contemporanea, colta  nelle sua manifestazioni più abiette e malate.

Se finora si è parlato di criminalità organizzata e, per così dire, istituzionalizzata, e, come si vede, il repertorio del male è tutto declinato al maschile, ad esclusione di Assunta e Carmen, due figure dai risvolti tragicomici, che vengono così a costituire significative eccezioni, godibili anche sul piano strettamente narrativo. Va detto però che nelle Vendicatrici non mancano certamente personaggi che agiscono in proprio, caduti nel pozzo della delinquenza talvolta più per stupidità ed insipienza che per autentica volontà criminale. Il che, naturalmente non costituisce una giustificazione né un’attenuante.
Ecco la riflessione di Carlotto: Il mondo è pieno di uomini sbagliati. Questi uomini sbagliati dominano la vita di altrettante donne in maniera assolutamente devastante. […] il mondo maschile è evidentemente in crisi e mostra tutta la sua fragilità. L’uomo non riesce più a proporsi in maniera positiva e ha bisogno di imporsi attraverso il dominio, il possesso. Non sa vivere senza punti di riferimento e non è in grado di ricominciare.gioco-azzardo-dipendenza-ludopatia-roma
Basti pensare a Renzo Russo, il marito di Eva, che in tutta la sua vita, breve e malvissuta, non ha fatto altro che il parassita, sfruttando la moglie e qualsiasi altra donna gli sia capitata tra le mani e abbia avuto la debolezza o la sfortuna di cedere al suo fascino facile e superficiale. Schiavo senza scampo del gioco, egli porta alla rovina se stesso e loro, passando attraverso il ricatto, la truffa, il furto e finendo morto ammazzato nel modo più degradante e crudele. Renzo è un debole e un vinto, il cui ruolo è quello della vittima rispetto ai ben più agguerriti criminali con cui arriva a scontrarsi in un meccanismo più grande di lui; a sua volta però è persecutore e aguzzino nei confronti dell’altro sesso, verso cui dimostra il cinismo più bieco e spregevole. E se poi, alla sua morte, finirà per risarcire economicamente la povera Eva, che fino all’ultimo lo ha aiutato  (persino quando il comportamento di lui nel ha provocato il disgusto e il definitivo disamore)  per una sorta di dovere umano di solidarietà, questo è uno sberleffo del destino, uno scherzo ironico all’inconsapevole Renzo con cui gli autori hanno forse voluto prendersi una piccola soddisfazione su un personaggio umanamente troppo inconsistente persino per riuscire a catalizzare l’odio che pure si è pienamente meritato.

Con questa figura squallida e nel contempo patetica, si evidenzia con chiarezza un altro elemento doabbuffata-compulsiva-crf-una-cura-italiana-promette-di-bloccare-lansia-che-la-provocaminante e costante delle storie qui raccontate, la connessione imprescindibile tra criminalità e vizio, dove la prima riveste per così dire un ruolo “professionale” e il secondo si accampa nella sfera del privato. Il repertorio delle perversioni è ampio e disgustosamente articolato  nelle peggiori manifestazioni di abiezione, sadismo, crudeltà gratuita e malata. Sono soprattutto perversioni di natura sessuale, ma non solo: la bestialità umana è qui presente in tutte le sue varianti, dando modo agli autori di elaborare una serie di ritratti indimenticabili, dove la frequente deformazione quasi caricaturale dei tratti somatici e della gestualità si pone come proiezione di un’umanità moralmente morta e spiritualmente marcescente. Si gioca infatti con l’effetto espressionistico, il grottesco è spesso la nota dominante, accompagnato talvolta dal registro  del macabro e dell’orrido. Insomma, a mio scimmia-mafiaparere, qui c’è molto di più e molto di diverso rispetto alla semplice ironia nei confronti “di una certa romanità”. Se l’ironia è la cifra della leggerezza e del sorriso, in questa fenomenologia del male così realistica ed esaustiva non riesco a trovarne traccia, vedo soltanto ragioni di repulsione e disgusto. La reazione alla lettura non può essere il sorriso, che in fondo prelude all’indulgenza e all’accettazione. Soprattutto perché anche davanti alle immagini più assurde, alle situazioni più estreme e parossistiche, non si può dimenticare che è tutto vero, o almeno verosimile. Nei libri di Carlotto e Videtta la rielaborazione letteraria parte sempre dalla realtà. E se qualche particolare talvolta ci appare eccessivo o impossibile, un’occhiata alla cronaca nera sul giornale o a un blog in rete, in qualsiasi momento, è sufficiente a dissolvere la nostra incredulità.

Eppure …eppurellll anche in questi libri così duri, così dannatamente noir, ci sono segnali di positività che contemplano non solo l’ipotesi della ribellione e della lotta ma anche fino alcune manifestazioni di solidarietà, generosità, abnegazione non dai risvolti politici, ma semplicemente umani.  Ed è qui che forse interviene  Terzo Autore citato da Videtta.Dunque positivo è già l’assunto di partenza, secondo cui le vittime possono diventare vendicatrici, il che è un modo per ottenere il proprio riscatto e la riaffermazione della dignità e della libertà personale dopo lunghi e dolorosi momenti di sottomissione, schiavitù e abbrutimento. La palingenesi passa ovviamente attraverso la presa di coscienza e la rivolta, per concludersi con l’annientamento dei colpevoli: uomini brutali, macchiatisi di abusi di ogni genere nei confronti di queste donne: le quattro che a turno danno il titolo ai vari volumi, più Melody, la ragazza del clan, e Maribel, la giovanissima colombiana fuggita alle grinfie del losco tiranno. E, con loro, ricordiamo idealmente tutte le donne del mondo che ogni giorno subiscono, soffrono, vengono picchiate, uccise, violentate.
Certo, a questo punto sarebbe doveroso osservare che vendetta non è giustizia, e tantomeno legalità. Ci sono leggi, istituzioni, organi competenti ed ufficialmente finalizzati a colpire i colpevoli, abbattere le organizzazioni criminali, magari risarcire le parti lese.
Fa comunque  piacere constatare che almeno alcune delle vittime sanno sottrarsi ai loro aguzzini, trovando nella specificità della vicenda personale le ragioni della ribellione, nell’amicizia e nella collaborazione le risorse utili all’organizzazione della vendetta.  Che peraltro, solo nel caso della misteriosa Sara, addestrata nei corpi speciali della polizia, è puro e implacabile desiderio di rivalsa dai risvolti brutalmente violenti, per quanto giustificati dal persistere dell’antico trauma dovuto alla perdita del padre. Nelle altre protagoniste l’umanità, il sentimento, il rispetto e la considerazione del prossimo rimangono infatti componenti fondamentali del sentire e dell’agire, pur nelle differenze caratteriali e culturali che le contraddistinguono, articolandosi nella disponibilità sincera benché sempre un po’ fredda di Ksenia, all’emotività intensa e generosa di Eva, fino alla passionalità di Luz. E su tutte aleggia una forma magari non ortodossa ma certamente efficace di onestà ed equità, come quando, ad esempio, dopo essersi impadronite del tesoro nella cassaforte di Barone e averlo sottratto alla  lunga mano della polizia, lo restituiscono in forma anonima ai legittimi proprietari, tutti vittime dello strozzino.
E con la stessa polizia, del resto, il rapporto non è negativo, nonostante le Vendicatrici si prendano qualche libertà e talvolta… dimentichino di confessare qualche particolare che potrebbe essere molto utile alle indagini, soprattutto per incastrare in modo inequivocabile qualche pericoloso delinquente. Ma si tratta di licenze e diffidenze in fondo comprensibili, motivate dalla paura e dalle esperienze di vita, talvolta durissime, già affrontate dalle ragazze, che non sempre hanno incontrato sulla propria strada poliziotti dotati di umanità.
squadramobile-polizia-passamontagna-arrestoA riconciliarle – e riconciliarci – almeno in parte con le forze dell’ordine sta però il commissario Mattioli, che nella sua carriera ne ha viste di tutti i colori ed ancora è costretto a scontrarsi quotidianamente con le inefficienze e le inadeguatezze delle istituzioni e del sistema giudiziario. Pur provato dalla vita e da un lavoro che, accanto a scarse soddisfazioni, offre ben più numerosi motivi di frustrazione, egli non ha perso quella particolare forma di sensibilità che nello specifico gli consente di discernere tra delinquenza e necessità, tra esigenza di ordine e consapevolezza che anche il caos può avere, talvolta, ragione di esistere. Attratto da Eva, che lo ricambia, si costringe però alla rinuncia per amore della moglie, o forse per un sottile senso del rispetto e del dovere, che lo lascia inappagato, ma almeno gli consente di non vergognarsi di se stesso. Personaggio realistico, ma positivo, raro esempio di poliziotto onesto e intelligente, Mattioli costituisce un’eccezione nel repertorio di Carlotto, che, nelle forze dell’ordine ci propone solitamente personificazioni della corruzione, dell’avidità e della violenza, così come purtroppo gli si sono presentate nella reale esperienza biografica. Qui si apre dunque uno spiraglio di speranza, forse dovuto semplicemente alla scrittura a quattro mani con Videtta, o forse – e glielo auguro – segnale di un modo pacificato di considerare l’argomento.
Positivo deve essere considerato anche il personaggio di Wilson Martìnez, il vigilante di Hugo Monteralegre, inviato in Europa per ridurre all’obbedienza, o eventualmente eliminare Maribel, la contadinella che ha avuto l’impudenza di farcolombia_cosasi ingravidare dal rampollo della razza padrona, e ora si ostina a voler mettere al mondo un bastardo che potrebbe un giorno rivendicare diritti sulla proprietà e sul patrimonio di famiglia.
Nato e cresciuto a sua volta in condizioni di semischiavitù, come del resto fanno tutti nel villaggio, tramandandosi di padre in figlio lo status servile di assoggettamento, Wilson ha conosciuto solo la scuola della violenza – inferta o subita – e per anni l’ha considerata il naturale ed unico registro possibile nell’intrecciarsi delle relazioni umane, specie se in gioco c’è pure il rapporto maschio-femmina. Lui che per dimostrare di essere uomo ha dovuto sottoporsi a squallide prove di virilità e ha imparato a premere il grilletto con imperturbabile freddezza, e non è però un bruto, né un pervertito. Non gode della manifestazione sadica della forza e nel suo animo, nonostante tutto, può riservare spazio dapprima al dubbio, poi alla certezza che esiste 1291742142_0qualcosa di meglio di quanto ha sempre visto e saputo. L’arrivo in Italia, la vista della piccola comunità amichevole e solidale che ruota attorno alla splendida figura di Fèlix Cifuentes produce le prime incrinature nel blocco compatto della sua durezza fredda e spietata di sicario, incrinature che presto diventano crepe inarrestabili. Sarà infine l’amore per Luz a far scattare definitivamente  il meccanismo buono dei sentimenti. Ma poiché emancipazione  e riscatto non possono esistere nel mondo dominato dal potere feroce dei Montealegre, la palingenesi di Wilson sarà causa della sua rovina, trascinando temporaneamente nel baratro anche la povera Ksenia, in realtà estranea a questa particolare  sequenza dei fatti.
Tuttavia, pur nella sua conclusione tragica, l’episodio di Wilson che arriva da sicario e muore da amante, rimane pur sempre un altro segnale di speranza, l’affermazione che il male non può trionfare sempre e comunque, affermandosi impunemente sull’impotenza dei più deboli.

 

L’intervista di Massimo Maugeri a Marco Videtta è comparsa su:  © Letteratitudine, LetteratitudineBlog / LetteratitudineNews / LetteratitudineRadio / LetteratitudineVideo
Quella di Katia Ippaso a Massimo Carlotto è stata pubblicata su GLI ALTRI. La sinistra quotidiana, http://www.glialtrionline.it/2013/06/18/massimo-carlotto-le-donne-devono-riaprire-il-conflitto/

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