PADOVA, 31 MAGGIO 2014. CONVERSAZIONE (QUASI VERA) CON MARINA GAMBA

casa con lapideIn margine ad un’uscita a Padova del Gruppo di lettura L’Italia in Giallo

Padova, via Galileo, ex Borgo Vignali. In una giornata di primavera miracolosamente serena dopo settimane di diluvio, un gruppo di turisti, naso all’aria ed espressione perplessa, sta osservando la lapide affissa al civico 17, che indica quell’edificio come la casa padovana di Galileo Galilei. Lo scienziato insegnò a Padova dal 1592 al 1610, trascorrendovi, come orami è arcinoto “i diciotto migliori anni della sua vita.”
Nei primi tempi abitò presso l’erudito Gianvincenzo Pinelli, in un palazzetto di via del Santo ora in restauro (che il gruppo, di passaggio, ha già avuto modo di ammirare), e poi, per pochi mesi, in un piccolo alloggio messo a disposizione dal parroco della vicina Basilica di Santa Giustina, fino ad approdare appunto a questa ampia abitazione. Qui venivano ospitati, a pagamento, diversi studenti e trovava  posto anche il laboratorio di Marcantonio Mazzoleni, mentre lo spazio scoperto era adibito a orto e vigneto, e, all’occasione, serviva come osservatorio astronomico.

Per la verità, non tutti gli studiosi concordano sul fatto che “ la casa della lapide”, ora di proprietà della famiglia Bressanin, sia davvero quella abitata da Galileo. C’è chi, infatti, avanza la candidatura di un altro edificio, poco distante sulla stessa strada, al civico 43, sulla base di indizi documentali e topografici, nonché di varie considerazioni pratiche o storiche. Naturalmente, i medesimi elementi risultano fondamentali per alcuni, irrilevanti per altri, e la questione a tutt’oggi rimane sostanzialmente irrisolta.
Da qui la perplessità dei “turisti” di cui si diceva all’inizio.
10169277_481246478686775_4774290359092116220_nMentre discutiamo della faccenda (perché sì, nel gruppo ci sono anch’io!) come se fossimo in grado di far luce sul mistero, avverto un che di strano, una presenza indefinita. Mi sfiora un alito di vento, quasi una carezza, un tocco leggero sulla spalla… mi giro, e…
Al mio fianco una figura che prima non  c’era. È una bella donna, dall’aria un po’ malinconica. Veste semplicemente, alla maniera di tanti, tanti anni fa,  ma sotto la modestia del vestito, oltre il velo di stanchezza che ne offusca la bellezza, si intuisce quanto doveva esserne il fascino, si ravvedono la grazia delle movenze e una sensualità ora sfiorita ma ancora riconoscibile. Non la conosco, ma so chi è. È Marina Gamba, compagna di Galileo negli anni padovani e madre dei suoi tre figli. Non so come, eppure sono sicura che è lei.
Mi guardo intorno: gli altri sembrano non aver notato nulla. Ma io la vedo, la sento vicina, posso parlarle. E lei mi risponde.
–          Marina! Sei proprio tu?!
–          Ma certo, chi volevi che fosse? Chi siete voi, piuttosto? E cosa ci fate qui, col naso in aria a guardare  ‘na piera sul muro?  ( Modi spicci, non c’è che dire.).
–          Siamo un gruppo di Amici della Biblioteca di Spinea. Siamo in gita, così, per passatempo…
–          E perché proprio qua?
–          Perché vogliamo visitare luoghi e monumenti legati alla presenza di Galilei. Siamo già stati al Bo, dove lui insegnava matematica. Lo sai che conservano la sua cattedra, un a specie di podio di legno costruito dagli  studenti per poterlo seguire meglio quando teneva le sue lezioni?
casa g          Non so, non me ne intendo di queste cose. Onori, gloria, scienza, non so niente. Sono sempre stata ignorante, io.
–           In via del Santo abbiamo visto il palazzetto di Pinelli, e adesso  siamo qua. Peccato che nella casa non si possa entrare.
–          Ah, be’, se è per questo non ci entravo neanch’io!  (Sbaglio o c’è una nota di tristezza nella sua voce?).
–          Quindi non sai se è proprio questa l’abitazione giusta? Te lo chiedo perché ai miei tempi ci sono dei dubbi.
–          Mi pare che sia proprio questa. Ma come ti ho detto, non era casa mia. Lui qua non ci voleva, né me né i miei figli! Troppo famoso e ammirato , troppo amico dei nobili, il signor professore, per degnarsi di far entrare nella sua casa una che era stata una puttana! E gnanca i me toseti, poareti!
–          E allora voi dove abitavate?
–          In un’altra casa, a Pontecorvo.
–          C’è ancora?
–          Non è rimasta traccia. Niente di quello che mi riguarda è rimasto alla memoria. Plebea, puttana, disonorata. E allora, dovevo essere anche esclusa, muta e invisibile. Persino da morta mi hanno confusa con un’altra!
–          Intendi la Bartoluzzi?
–          Il nome non lo so, ma comunque era quella che badava al mio Vincenzino dopo che suo padre è andato in Toscana. E a me, mi ha abbandonata!
(C’è anche rabbia, ora, nelle parole e sul volto della donna. Certo, le convenzioni sociali, le apparenze, il galateo , del Seicento, poi. Ma come darle torto, sul piano umano ed affettivo? Però, mentre io mi perdo in queste considerazioni, Marina è già oltre).
–          Lo sai che nella chiesa di Santa Sofia si conserva il fonte battesimale usato per mio figlio? Veramente prima stava nella chiesa di santa Caterina, ma poi è stato spostato. Invece le mie figlie sono state battezzate nella parrocchia di san Lorenzo.  Insomma, questo fonte, ‘o  gavìo visto?fontebattesimale_santasofia
santa-sofia_big–          No: ci sarebbe piaciuto, ma si trovava troppo fuori mano rispetto al nostro percorso.
–          Avete fatto male! È una delle poche cose che ancora parli di noi, della famiglia padovana di Galilei. Siamo ben esistiti, eh, anche se lui non ci ha voluti riconoscere e tante volte preferiva far finta di niente! Era un gran puttaniere, te lo dico io! Lui e i suoi amici. Soprattutto i veneziani. Buoni, quelli! Sbevazzatori e …gaudenti… Si dice così?
–          Si! Vedi che ti è venuta una parola difficile! Ma chi erano questi amici?
–          Mah, Sagredo, Contarini, Morosini. Gente così, nomi importanti. Sempre pronti a far bisboccia, e lui con loro. E poi magari si lamentava che stava male! Sempre lì a lagnarsi per la tosse, i raffreddori, i dolori di stomaco… poteva starsene a casa, invece. A casa, con me e con i suoi figli.
–          Senti, Marina, Galileo non ti avrà sposato e non ti avrà fatto abitare a Borgo Vignali, ma vi ha pur sempre sostenuto, te i  bambini. E poi Pontecorvo non è lontano, lui ci veniva spesso e stava con voi, no?
–          Sì, questo è vero, però…
–          E mi risulta che lavorasse tantissimo. Aveva messo in piedi una serie infinita di attività proprio per guadagnare di più. Le lezioni, le dispense, gli studenti a pensione, il laboratorio artigianale…
–          Uh, quel povero Mazzoleni, spremuto fino all’osso! Sempre sotto a fabbricare compassi, cannocchiali, bussole, e altre diavolerie del genere. Che poi Galileo vendeva a destra e a manca. Un gran bottegaio, ecco cos’era.
–          Sai che al Bo abbiamo visto l’orologio con la campana usato per scandire le ore di lezione? Dopo la partenza di Galileo, Mazzoleni aveva l’incarico di regolarlo, seguendo le orme del padre, che aveva svolto quella mansione prima di lui. In famiglia erano quasi tutti orologiai, molto apprezzati dalle autorità cittadine e universitarie, ricevendo spesso incarichi importanti. Marcantonio tenne quel lavoro fino alla morte, avvenuta nel 1632.  Era un artigiano eccezionale, ma non si arricchì mai.
Compasso–          Appunto. Galileo guadagnava tantissimo vendendo gli strumenti, ma Mazzoleni non ha visto niente di tutto quella montagna di schei. E sì che era bravo, eh! E il merito era tutto suo.
–          Galileo infatti provava per lui una grandissima stima…
–          Grandissima stima, boh! Non ha fatto altro che sfruttarlo.
–          Marina, a quei tempi non esistevano  le leggi sindacali. Tu sei troppo avanti per l’epoca!
–          No, cara mia. Anche a quei tempi c’erano dei limiti. E lui li calpestava.
–          Ma in fondo tutto quello che guadagnava serviva anche a te, no? Se ti manteneva…
–          Ma va’, manteneva! Figurati se bastava.
–          Cosa vorresti dire? Continuavi ad arrotondare…alla tua maniera?
–          Di questo non voglio parlare adesso, va ben, sprota che no ti sì altro? Piuttosto,  tu dici che spendeva per me. Ma lo sai quanti soldi mandava a quella strega di sua madre, che continuava a dargli il tormento? E una volta è anche venuta fin qua a Padova, a farmi una scenata, perché aveva paura che portassi via qualcosa di prezioso al su’ figliolo! Un pozzo senza fondo, quella! E poi le sorelle, le figlie della Giulia. Soldi, soldi soldi! Per la dote della grande, per i suoi capricci, per quella più piccola, Livia…
–          Livia ?
–          Si’, anche la mia bambina si chiamava così. Lui ha voluto metterle quel nome lì. Cosa potevo fare? Beh, questa Livia della Toscana, lei sì che era proprio una puttana. Prima voleva farsi suora, poi non voleva più, poi si voleva anche sposare. E lui l’ha accontentata. Ci voleva la galileodote. E lui l’ha pagata. Pagava sempre, per loro, mai una volta che abbia detto di no. E le mie figlie invece tutte e due in convento, anche la piccola, poveretta, che proprio non se la sentiva. Cosa ne dici, eh? Che padre è uno che fa così?
(Non so che rispondere: mi pare che abbia ragione lei, anche cercando di considerare quella che doveva essere la mentalità del suo tempo. Che per certi aspetti, forse, non è neanche così diverso dal nostro. Provo ad affrontare la questione da un altro punto di vista.).–          Senti, Marina, ma tu, Galileo, l’hai amato? A volte sei così  critica, che il tuo sembra odio piuttosto che amore…
–          Ma cosa dici! Io l’ho amato, eccome! Per lui ho lasciato Venezia, dove stavo tanto bene, e sono venuta qua, in un posto tutto diverso, che non conoscevo e non mi piaceva neanche, in campagna…dove si parla questo dialetto così duro, lontano dal mio dolce veneziano.
Mi sono adattata a fare vita ritirata. Lui si divertiva dappertutto e con tutti, ma io no. Io dovevo stare buona, in disparte, in silenzio. Ma l’ho fatto volentieri. Gli sono stata fedele…quasi sempre. Mi sono sacrificata, sì, e l’ho fatto per amore, cosa credi? Ma alla fine, cosa ho ottenuto?
–          Ecco perché c’è in te tutto questo rancore. Anche se si potrebbe discutere…Scusami, sai, ma in fondo, per prostituta poteva andare anchdefe peggio…
–          Sì, ma la mia non è rabbia. È dolore. Dolore e delusione. Per me, avrei potuto sopportare qualsiasi cosa, ma non per i miei figli, le bambine soprattutto. Non doveva maltrattarle così. E invece lui l’ha fatto! Si è occupato solo del maschio, che poi dei tre era il più scapestrato, quello che gli ha data più dispiaceri. Ben gli sta!
–          Ecco. Quando dicevo che porti rancore…
–          Ma no. L’ho amato, come ti ho detto, e mi è mancato tanto, quando è andato via. E anche prima: perché se all’inizio i giorni sono stati incantati, dopo un po’ lui si è stancato, ha cominciato a trascurarmi, a lasciarmi sola. E si vergognava di me. Se non ci fossero stati i piccoli…
(Che dire? Ora l’imbarazzo è ancora più forte di prima. La tristezza, il rimpianto, il disincanto che leggo negli occhi di questa donna  sfiorita che un tempo deve essere stata bellissima e fiera sono sentimenti sinceri, a cui è difficile resistere. Per  consolarla, e per trami d’impaccio, provo a cambiare argomento.)
–          Dài, Marina, parliamo d’altro. Non ti interessa sapere cosa abbiamo visto in questa nostra gita a Padova?
–          Ma sì, dèi, cònteme.
–          Allora, ti ho detto dell’Università, che conserva vari documenti relativi all’insegnamento di Galileo. Abbiamo visitato l’atrio degli stemmi, l’Aula Magna, la sala dei Quaranta, l’aula di medicina e il teatro anatomico, il più antico al mondo, inaugurato nel 1594. Fu voluto da Girolamo Fabrici d’Acquapendente per effettuarvi  la dissezione dei cadaveri…
–          Cossa?!! Sìo mati?
images–          Ma che dici! Questa è una cosa importantissima. Quelle di Padova sono state le prime autopsie che si siano fatte nel mondo, fondamentali per la conoscenza della fisiologia, cioè il funzionamento del corpo umano, e quindi per la cura delle malattie, la chirurgia e la medicina in generale. Fabrici è stato un personaggio controverso e discusso, ma fu certamente un grande studioso. A lui dobbiamo molto.
–          Sarà. E poi?
–          Poi abbiamo visitato la Loggia e l’Odèo Cornaro
–          Cornaro! Questo nome l’ho già sentito. Non è quella famiglia potente, che a Venezia si fa chiamare Corner?
–          Sì, però quello che ha fatto costruire la Loggia e l’Odèo, che di nome faceva Alvise, non appartiene al ramo principale della casata, anche se ha tentato più volte di farsi riconoscere l’appartenenza al patriziato veneziano. Il governo della Serenissima, dopo anni di tentennamenti, contestazioni e suppliche, ha sempre rifiutato di inserirlo nel “Libro d’oro” della Repubblica. Così Alvise ad un certo punto li ha mandati tutti a quel paese con la loro puzza sotto il naso e si è stabilito definitivamente a Padova, in via del Bersaglio (che però adesso si chiama Cesarotti), proprio dietro quel Borgo Vignali dom.danesin11ve abitava il tuo Galileo.
–          Ah…
–          Presso la sua residenza ha creato una piccola corte alla faccia dei veneziani. Ospitava amici, artisti, letterati; loro erano i cortigiani, lui il signore e mecenate. Li proteggeva e commissionava numerose opere, ben pagate. A palazzo Cornaro  si tenevano dotte discussioni, dibattiti, e tanti spettacoli… Insieme al palazzo, infatti, Alvise si fece costruire dall’architetto veronese Giovanni Maria Falconetto anche la Loggia e L’Odèo, per le rappresentazioni teatrali e i concerti, bellissimi, tutti affrescati  secondo il gusto rinascimentale cinquecentesco.
–          E Galileo cosa c’entra con tutto questo?
10376159_481247685353321_1593407876097583529_n–          Beh, pare che anche lui abbia assistito a qualche rappresentazione nella Loggia, commedie soprattutto. Magari un’opera di Ruzante, il famoso commediografo ed attore che recitava lui stesso in lingua pavana.
–          Famoso? Mai sentito! Però io, come sai, mi no so’ studià. Sì, può essere benissimo che Galileo sia andato a vedere le commedie: quando si trattava di divertirsi non si tirava indietro. Del resto aveva tantissimi amici proprio tra i nobili e i letterati. Anzi, più tra i letterati che fra gli scienziati ed i filosofi, ché con questi stava sempre a questionare! Dunque avrà conosciuto anche questo Alvise che dici tu.
–          Proprio lui personalmente non credo, perché è morto nel 1566. Gli edifici di cui stiamo parlando sono stati costruiti nella prima metà del Cinquecento. Galileo, che è arrivato a Padova solo nel 1592, può aver conosciuto un discendente ed erede di Alvise. Che era un tipo piuttosto strano, sai?
–          Perché?
–          Aveva la mania dell’igiene, della vita sana, delle diete e dell’attività fisica. In questo modo pensava di poter vivere più di cent’anni, e per dimostrare a modo suo la validità di queste teorie aveva preso l’abitudine di aumentarsi l’età, dichiarando più anni di quanti ne avesse in realtà. Così tutti credevano nei suoi metodi miracolosi!
–          Baengo, ma miga mona. E cos’ altro avete visto?
10306239_481247478686675_2804441008726619486_n–          Abbiamo visitato il chiostro del Noviziato al Santo, uno dei cinque che fanno parte del complesso della Basilica. Questo fu costruito nella seconda metà del Quattrocento ed è detto anche di Sisto IV, perché il savonese Francesco Della Rovere, che poi è diventato papa appunto con questo nome, era stato novizio e poi  frate al convento, oltre che professore di teologia allo Studio cittadino. Il chiostro è bellissimo, pieno di iscrizioni, lapidi, affreschi.  Questi ultimi non sono proprio gli originali, rovinati dagli agenti atmosferici nel corso dei secoli, ma altri fatti eseguire nel 1926, ormai a loro volta sbiaditi. Ti sembrerà strano, ma l’effetto visivo non è spiacevole… Poterlo visitare è stato un colpo di fortuna, perché normalmente questo chiostro non sarebbe aperto al pubblico, ma abbiamo fatto domanda al Rettore del Santo e lui gentilmente ci ha concesso un breve visita.
Se con questa notizia mi illudevo di far colpo sulla mia ascoltatrice, mi sbagliavo alla grande. Sul volto di  Marina quella che si può leggere con estrema chiarezza è solo  un’espressione di perplessità. Così continuo:
–          Comunque devi sapere che ai tuoi tempi questo chiostro aveva appena assunto una funzione legata alla  vita conventuale: prima  vi si svolgeva invece quella che possiamo chiamare “vita di relazione”, i contatti del pubblico con i frati. Vi si affacciava l’appartamento del custode della basilica, della presidenza della Veneranda Arca del Santo, gli dei professori di teologia e di Metafisica all’Università, la sede dell’inquisitore…
–          L’inquisitore! Eh, sì, con Galileo… ma i novizi cosa c’entrano? Cos’ha avuto a che fare Galileo con loro?
–          Ma niente, tranquilla. Nella realtà della vita dello scienziato in effetti non c’entrano. Ma recentemente, intendo a10303171_481247558686667_7297865422514142481_ni miei tempi, uno scrittore di nome Roberto Zucchi ha pubblicato un romanzo, una storia inventata in cui mette Galileo come protagonista e gli fa fare  varie cose frutto della sua fantasia, ambientando i fatti in vari punti di Padova che adesso noi andiamo visitando.
(Se prima era la nebbia della perplessità, ora l’espressione di Marina porta una tempesta di dubbi).
–          Quindi non è vero niente? Sono tutte fiabe?
–          Fiabe proprio no: te l’ho detto, è un romanzo, un’opera di narrativa di taglio poliziesco, anzi “sbirresco”, per dirla con una parola che forse ti riporta meglio al tuo mondo.
–          Ma perché l’ha fatto?
–          Per seguire i propri interessi culturali e la propria necessità di esprimersi. E sempre per interesse e per volontà di evasione, noi del pubblico l’abbiamo letto.
–          Ma come quel tuo scrittore ha potuto permettersi di fare una cosa simile?
–          È un’invenzione artistica, Marina! Guarda che la narrativa è sempre esistita, si trovava anche nell’antichità. Ma un po’ hai ragione anche tu: forse nei secoli passati la finzione era totale, non si prendevano a protagonisti personaggi realmente esistiti, per poi farli agire in contesti di fantasia.
–          Far fare cose inventate ad una persona vera!
–          È l’epoca moderna che ha bisogno anche di queste novità, per attirare l’attenzione, quando tutto sembra essere già stato detto,  tutto sembra essere già stato vissuto. I tempi cambiano, ma in fondo non c’è niente di male, no?
–          Uhm, non mi convince. Se lo sapesse Galileo! Vi farebbe causa. Ne ha fatte tante, in vita sua!
–          Beh, sarebbe proprio esagerato. E invece, magari si farebbe una bella risata. Se era uno a cui piaceva scherzare e divertirsi , forse avrebbe saputo apprezzare l’invenzione. Anche perché sulle cose davvero importanti il romanzo è molto serio e affidabile, non credere.
–          Chissà. Comunque, sempre per seguire le ciacole del libro, che cosa dovreste ancora vedere?10334299_481248078686615_6795133516529743947_n
–          Nel pomeriggio visiteremo lo splendido Palazzo della Ragione, l’antica sede dove si amministrava la giustizia e si svolgeva il mercato coperto. È un edificio più volte distrutto e ricostruito, che nella versione attuale risale al Quattrocento. Il suo enorme Salone in origine era stato tutto affrescato da Giotto con immagini del calendario astrologico che si rifaceva alle teorie di Pietro d’Abano. Quegli affreschi si sono persi in un incendio, ma poi altri due pittori, Nicolò Miretto e Stefano da Ferrara, li hanno riprodotti il più fedelmente possibile. Tu assicuro che fanno ancora un effetto spettacolare! Galileo li avrà visti di sicuro e non può non esserne stato colpito.
–          In effetti lui faceva gli oroscopi, anche  a pagamento, e per questo è stato persino denunciato.
–          Sì, ma a noi interessa perché c’è un passaggio importante del libro che si svolge proprio nel Salone. E anche perché questo è uno dei monumenti più belli di Padova. Poi visiteremo rapidamente anche le piazze del centro e le Porte Contarine, dove ci sono le chiuse che regolano il dislivello tra il Piovego e il Naviglio interno. E pensa, Roberto Zucchi sarà con noi!
–          Chi, el scritore busiaro?
–          E dài!
–          Certo però che c’è da ridere. A quanto ho sentito dire, Galilei è diventato famoso proprio per avere rivoluzionato i metodi della scienza, rifiutandosi di ripetere le stesse cose che avevano detto gli altri prima di lui, se non erano sostenute dall’osservazione diretta della natura. Insomma, voleva e ricercava la verità vera, non la letteratura, le favole. Deve anche averlo detto chiaro e tondo in una delle sue opere. Un dialogo, mi pare…
–          Sì: il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo.
–          Ecco. E adesso voi lo mettete in mezzo, proprio lui, in una storia che è tutta finta! Roba da mati!
(Già, messa così, Marina non ha tutti i torti. Ironie della civiltà e dell’industria culturale. E se sapesse che anche su di lei si è ricamatto precchio! Sarà meglio togliersi di torno, prima di fare altre figuracce).

–          Marina, adesso devo salutarti. Si sta facendo tardi e ci aspettano in trattoria. Poi, come ti ho detto,  completeremo il nostro giro.
–          Ma sì, cari, ’ndè! Divertive co ‘e vostre trapole!
(Chissà perché mi pare di cogliere una certa derisione nelle sue parole?).

***
10393547_481248102019946_6900750626796139344_nChi ha avuto la pazienza di arrivare fino a qui avrà certamente già classificato questo scritto nell’ambito delle cosiddette “interviste impossibili”: divertimenti letterari (ebbene sì!) in cui con un’ardita capriola della fantasia il tempo risulta miracolosamente annullato, la distanza spaziale viene cancellata, l’impossibilità circostanziale e per così dire “logistica” è baldanzosamente superata, permettendo di incontrarsi e dialogare a persone che nella realtà mai e poi mai potrebbero trovarsi insieme  nel medesimo luogo e momento. Hic et nunc, come direbbero i dotti, ma in una dimensione tutta virtuale.
Qualcosa di vero però c’è. Intanto, Marina Gamba è realmente esistita ed è stata la compagna di Galileo nel non breve periodo del suo soggiorno padovano. Di lei non sappiamo quasi nulla, ma risulta che fosse una prostituta veneziana nata verso il 1570, da lui conosciuta forse proprio durante uno dei suoi frequenti viaggi nella città lagunare. Lei lo seguì a Padova e gli diede tre figli, dei quali Galileo – tardivamente, nel 1619 – accettò di legittimare soltanto il terzo, l’unico maschio, di nome Vincenzo. Certamente lo scienziato provvedeva la loro mantenimento, e forse per alcuni periodi garantì anche convivenza e una certa stabilità familiare, ma non volle mai ufficializzare la situazione di fatto.
MappaPadovaDella donna, e forse anche dei figli nati da lei, probabilmente si vergognava: non è una bella cosa, ma non dimentichiamo che siamo nel Seicento. Lui, professore del prestigioso Studio padovano, insigne matematico che tutta Europa acclamava, scienziato ammirato e riverito da personalità accademiche e politiche, amico di nobili ed ecclesiastici di rango, poteva sposarsi o anche solo convivere apertamente con un’ex protituta? No. E Marina infatti fu lasciata sempre in ombra, poi addirittura abbandonata.
Poco dopo il trasferimento di Galilei in Toscana (1610), il 21 agosto 1612, quella che era stata la sua compagna morirà infatti in solitudine, sconosciuta e pressoché dimenticata da tutti: tanto che, per qualche tempo, fu confusa con un’altra Marina, sposata con un tal Giovanni Bartoluzzi, cui il padre aveva già affidato il piccolo Vincenzo.
Le figlie, Viginia e Livia, nate rispettivamente nel 1600 ne nel 1601, non furono mai legittimate e nel 1613, giovanissime, furono fatte entrare in convento ad Arcetri e poi praticamente costrette a prendere i voti. Il diverso trattamento dei figli ha una motivazione economica: il maschio non richiedeva la corresponsione di alcuna dote, come sarebbe stato invece per le ragazze, se fossero state riconosciute come legittime. Forse Galileo non si riteneva in grado di sistemarle onorevolmente nel mondo, perché non poteva pagare la dote adeguata per due ragazze di buona condizione sociale come dovevano essere considerate le sue figlie. Non poteva, o non voleva: perché nel frattempo continuava a sborsare abbondantemente per sopperire alle esigenze della madre Giulia Ammannati e delle due sorelle rimaste in Toscana, che reclamavano i suoi contributi con fastidiosa insistenza. Insomma, tutto vero e documentato, a parte i sentimenti e le tristezze di Marina Gamba, che sono frutto della fantasia di chi scrive, ma che – credo – non devono essere molto lontani dalla realtà.

10365762_481248295353260_314815055312771425_nTornando ai giorni nostri, è altrettanto vero che sabato 31 maggio un gruppo di Amici della Biblioteca di Spinea, 24 persone in tutto, ha effettuato un’uscita a Padova, alla ricerca dei luoghi galileiani e sulle tracce di un percorso segnato dal bel libro di Roberto Zucchi  Siderea crimina, dove Galileo è appunto protagonista di una vicenda “sbirresca”  commentata dal Gruppo di lettura l’Italia in giallo (emanazione dell’Associazione) nell’annata 2013-14.
Nel pomeriggio, dopo la visita ai monumenti citati nella “conversazione” con Marina –  e dopo essersi naturalmente concessi una golosa paura ristoratrice al ristorante “Sette Vizi” di via Cesare Battisti –  i gitanti-lettori hanno incontrato l’autore, che ha voluto essere presente per il completamento dell’itinerario, visitando insieme al loro il Palazzo della Ragione e le Porte Contarine.
È stata una giornata densa di spunti culturali e suggestioni artistiche. Intensa, ma sempre piacevole. Insomma, una bella occasione per stare insieme e godere di tante proposte interessanti. Perché l’Associazione Amici della Biblioteca è tutto questo: impegno, cultura, convivialità , amicizia. Alla prossima!

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