Continua il gioco di rielaborazione ed invenzione basato su un racconto a puntate. Questa è la SECONDA puntata. Per vedere la prima puntata e le istruzioni, clicca qui.
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Bisogna dire che questo cercare nella fotografia le ragioni d’un suo malcontento – come di chi si sente escluso da qualcosa – era in parte anche un trucco di Natalino con se stesso, per evitare di prendere in considerazione un altro, e più vistoso, processo che lo andava separando dagli amici. Ciò che stava avvenendo era che i suoi coetanei a uno a uno si sposavano, mettevano famiglia, mentre Natalino rimaneva scapolo. Pure tra i due fenomeni intercorreva un indubbio legame, in quanto spesso la passione dell’obiettivo nasce in modo naturale e quasi fisiologico come effetto secondario della paternità. Uno dei primi istinti dei genitori, dopo aver messo al mondo un figlio, è quello di fotografarlo; e data la rapidità della crescita si rende necessario fotografarlo spesso , perché nulla è più labile e irricordabile d’un infante di sei mesi, presto cancellato e sostituito da quello di otto mesi e poi d’ un anno; e tutta la perfezione che agli occhi dei genitori può aver raggiunto un figlio di tre anni non basta ad impedire che subentri a distruggerla la nuova perfezione dei quattro , solo restando l’album fotografico come luogo dove tutte queste fugaci perfezioni si salvino e giustappongano, ciascuna aspirando a una propria incomparabile assolutezza. Nella smania dei genitori novelli d’inquadrare la prole nel mirino per ridurla all’immobilità del bianco-e-nero o della diapositiva-fotocolor, il non-fotografo e non-procreatore Natalino vedeva soprattutto una fase della corsa verso la follia che covava in quel nero strumento. Ma le sue riflessioni sul nesso iconoteca-famiglia-follia erano sbrigative e reticenti: altrimenti avrebbe compreso che in realtà chi correva il pericolo maggiore era lui, lo scapolo.
ADESSO CONTINUA TU, OPPURE…
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