Non leggete oltre se non avete ancora giocato o non avete risolto il quiz FINISCILO TU/1 e preferite avere ancora un po’ di tempo per trovare le soluzioni. Ma se volete verificare le vostre ipotesi, o …vi arrendete, allora andate avanti!
Il racconto manipolato per il gioco si intitola Un’opera d’arte ed è del grande scrittore russo Anton Cechov (1860-1904); è stato pubblicato nel 1886 nella raccolta intitolata Racconti variopinti. Di questi racconti, come di varie altre raccolte di novelle dell’autore, esistono numerose edizioni italiane, anche economiche.
Di seguito viene riportato il testo originale e completo (ovviamente con i nomi russi dei personaggi), cioè con la conclusione che mancava.
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Con sotto il braccio un oggetto avvolto nel numero 223 de «Le notizie di borsa» Saša Smirnòv, unico figliuolo di sua madre, entrò nel gabinetto del dottor Koselkòv facendo la faccia acida.
«Ah, caro ragazzo!» così lo accolse il dottore. «Be’! come ci sentiamo? Che mi dite di bello?»
Saša batté le palpebre, si portò una mano al cuore e disse con voce commossa:
«La mamma vi manda a salutare, Ivàn Nikolàevic! E mi ha ordinato di ringraziarvi… Io sono l’unico figlio di mia madre, e voi mi avete salvato la vita…mi avete curato una malattia pericolosa, e… noi due non sappiamo come ringraziarvi».
«Lasciamo andare, ragazzo!» lo interruppe il dottore, torcendo il viso dalla soddisfazione. «Io ho fatto soltanto quello che chiunque altro avrebbe fatto al mio posto».
«Io sono l’unico figlio di mia madre… Noi siamo povera gente e naturalmente non possiamo pagarvi per il vostro lavoro… e ne abbiamo rimorso, dottore, sebbene, del resto, mamàn e io, unico figlio di mia madre, con persuasione vi preghiamo di accettare in segno della nostra gratitudine…, ecco, questo oggetto, che… è un oggetto molto caro, di bronzo antico… un’opera d’arte rara».
«Ma non è affatto necessario!» e il dottore si accigliò . «Perché mai?»
«No, vi prego, dottore, non rifiutate», continuò a borbottare Saša, svolgendo l’involto. «Con un rifiuto ci offendereste, me e mamàn… L’oggetto è molto bello… di bronzo antico… Ci viene dal mio povero papà e l’abbiamo conservato come un caro ricordo… Il mio papà comprava bronzi antichi e li rivendeva agli amatori. La mamma ed io continuiamo il mestiere di papà…»
Saša svolse l’oggetto e solennemente lo posò sul tavolo. Era un piccolo candelabro di vecchio bronzo, lavorato artisticamente. Rappresentava un gruppo: sul piedistallo stavano due figure femminili nel costume d’Eva e in pose, a descriver le quali non mi basta né l’ardire né il temperamento. Le figure sorridevano civettuole e in generale avevano l’aria di essere pronte, se non avessero avuto l’obbligo di sostenere il candelabro, a saltar giù dal piedistallo per organizzare nella stanza un tal baccanale da non poterci neppure pensare senza vergognarsi.
Vedendo il regalo, il dottore si grattò subito dietro un orecchio, si raschiò la gola e indeciso si soffiò il naso.
«Sì, l’oggetto è veramente molto bello», mormorò, «ma… come dire, non è…non è abbastanza letterario… Non è neppure scollacciato, ma lo sa il diavolo che roba è…»
«Ma come, perché?»
«Lo stesso serpente tentatore non avrebbe potuto inventare qualche cosa di più sconcio… A metter sul tavolo una tale fantasmagoria, significherebbe insudiciare tutta la casa!»
«Che strana concezione avete dell’arte, dottore!» disse Saša offeso. «Questo è un oggetto artistico, guardate! Tanta bellezza ed eleganza che l’anima si riempie di un sentimento di venerazione e vengono le lacrime in gola! Vedendo una tale bellezza, ci si dimentica delle cose terrene… Guardate quanto movimento, che massa d’aria, che espressione!»
«Lo capisco benissimo, mio caro», lo interruppe il dottore, «ma io ho famiglia, qui scorrazzano i bambini, vengono delle signore».
«Certo, se si guarda dal punto di vista della folla», disse Saša, «ma un oggetto di così alta arte deve essere guardato sotto un’altra luce… Ma, dottore, siate superiore alla folla, tanto più che col vostro rifiuto voi offendete profondamente me e la mamma. Io sono l’unico figlio di mia madre… voi mi avete salvato la vita… Noi vi diamo l’oggetto più caro che abbiamo… e io mi rammarico solo che voi non abbiate un altro candelabro uguale per far la coppia…»
«Grazie, tesoro, vi sono molto grato… Salutatemi la mamma, e in nome di Dio, giudicate voi stesso; qui ci razzolano i ragazzi, vengono delle signore…
«Non c’è da convincere», disse Saša tutto lieto. «Questo candelabro lo mettete qui, accanto a questo vaso. Che peccato che non ci sia la coppia! Un vero peccato! Arrivederci, dottore».
Uscito che fu Saša, il dottore guardò a lungo il candelabro, si grattò dietro l’orecchio e rifletté: “L’oggetto è magnifico, non c’è questione”, pensò, “e buttarlo via è peccato… Lasciarlo qui è impossibile… Uhm! Un bel problema! A chi lo potrei regalare o offrire?”
Dopo una lunga riflessione, si ricordò di un buon amico, l’avvocato Uchov, al quale era debitore per la difesa di una causa.
“Benissimo”, decise dentro di sé. “Come amico non accetterebbe da me denaro, e sarà molto elegante presentargli in dono un bell’oggetto. Porterò a lui questa diavoleria! Del resto, è scapolo e senza pensieri…”
Senza rinviar la cosa, il dottore si vestì, prese il candelabro e si recò da Uchov.
«Salve, amico!» disse, trovando l’avvocato in casa. «Sono venuto… sono venuto per ringraziarti, caro, delle tue fatiche… Denaro non vuoi prenderne; accetta perciò questo oggettino… ecco, caro… Una cosuccia, ma una magnificenza!»
Vedendo la cosuccia, l’avvocato fu preso da indescrivibile entusiasmo.
«Accidenti che pezzo!» esclamò ridendo, «che il diavolo se lo porti, ci vuol proprio il diavolo per inventare una cosa simile! Stupendo, magnifico! Dove hai trovato una tale bellezza?»
Riversato l’entusiasmo, l’avvocato guardò la porta come se avesse timore e disse:
«Solo, fratello caro, portati via il regalo. Io non lo prendo…»
«Perché?» il dottore si spaventò.
«Perché… perché da me vengono mia madre, delle clienti…, e anche di fronte alla donna di servizio mi fa scrupolo».
«No, no, no… Non puoi rifiutare», il dottore fece un gesto con le mani. «È una porcheria da parte tua! Un oggetto d’arte… quanto movimento… espressione… Non voglio nemmeno parlare! Mi offendi!»
«Se si potesse ricoprirlo un po’, metterci delle foglie di fico…»
Ma il dottore fece un gesto ancora più energico con le mani, saltò fuori dal l’appartamento di Uchov e, soddisfatto di essersi liberato del regalo, tornò a casa… Dopo che egli fu uscito, l’avvocato osservò il candelabro, lo palpò da tutte le parti con le dita e, come il dottore, a lungo si ruppe la testa sul problema: a chi fare un regalo?
“L’oggetto è bellissimo”, rifletteva, “buttarlo via è un peccato, tenerlo in casa è indecente… Meglio di tutto, regalarlo a qualcuno… Ecco, porterò il candelabro questa sera al comico Sàskin. Quella canaglia ama questo genere di oggetti e stasera è la sua serata d’onore…”
Detto fatto. La sera stessa il candelabro, accuratamente avvolto, fu portato al comico Sàskin. Per tutta la sera il suo camerino fu affollato di uomini che venivano ad ammirare il regalo: per tutto il tempo il camerino risonò di esclamazioni entusiastiche e di risate, simili a nitriti.
Dopo lo spettacolo il comico scrollò le spalle, allargò le braccia e disse: «E ora dove metto questa porcheria? Io vivo in famiglia! E da me vengono delle attrici. Non è una fotografia che la puoi nascondere in un cassetto!»
«E voi, signore, vendetela», gli suggerì il parrucchiere, che lo stava svestendo. «Qui nel sobborgo c’è una vecchietta, che compra vecchi bronzi…
ED ECCO LA CONCLUSIONE CHE MANCAVA:
…Andateci e domandate della Smirnòva… La conoscono tutti».
Il comico seguì il consiglio… Un paio di giorni più tardi il dottor Koselkòv era nel suo gabinetto e con un dito sulla fronte pensava agli acidi del fiele. A un tratto si aprì la porta e nel gabinetto irruppe Saša Smirnòv. Sorrideva raggiante e tutta la sua figura emanava felicità… Teneva in mano un oggetto avvolto in un giornale.
«Dottore!» cominciò, ansimando. «Figuratevi la mia gioia! Per vostra fortuna ci è riuscito a procurarci un candelabro come il vostro per fare il paio…Anche la mamma è felice… Io sono l’unico figlio di mia madre… Voi mi avete salvato la vita…»
E Saša, tutto tremante per il sentimento di riconoscenza, pose davanti al dottore il candelabro. Il dottore spalancò la bocca, avrebbe voluto dire qualcosa, ma non disse nulla: la lingua gli si era paralizzata.