Siamo alla SETTIMA puntata del racconto da continuare e inventare in modo autonomo. Per vedere la puntata precedente, clicca qui.
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Era vestita di lino bianco, con ricami colorati sui bordi delle maniche e delle tasche. Aveva i capelli divisi da una scriminatura e raccolti sulle tempie. Rideva un po’ di sottecchi, inclinando il capo da una parte. Natalino facendola passare studiava, in quei suoi modi un po’ vezzosi un po’ ironici, quali erano i tratti che definivano il suo carattere vero.
La fece sedere in una grande poltrona, e infilò la testa sotto il drappo nero che guarniva l’apparecchio. Era una di quelle cassette dalla parete posteriore di vetro, dove l’immagine si specchia già quasi come su una lastra, spettrale, un po’ lattiginosa, separata da ogni contingenza nello spazio e nel tempo. Ad Natalino parve di vedere Ines per la prima volta. Aveva un’arrendevolezza, nel calare un po’ pesante delle palpebre, nel protendere avanti il collo, che prometteva qualcosa di nascosto, così come il suo sorriso pareva nascondersi dietro lo stesso atto del sorridere.
– Ecco, così, no, la testa più in là, alza gli occhi, no abbassa, – Natalino stava rincorrendo dentro quella scatola qualcosa di Ines che improvvisamente gli pareva preziosissimo, assoluto.
– Ora ti fai ombra, vieni più in luce, no, era meglio prima.
C’erano molte fotografie di Ines possibili e molte Ines impossibili a fotografare, ma quello che lui cercava era la fotografia unica che contenesse le une e le altre.
– Non ti prendo, – la sua voce usciva soffocata e lamentosa da sotto alla cappa nera, – non ti prendo più, non riesco a prenderti.
Si liberò dal drappo e si rialzò. Stava sbagliando tutto da principio.
Quell’espressione quell’accento quel segreto che gli sembrava d’esser lì lì per cogliere sul viso di lei era qualcosa che lo trascinava nelle sabbie mobili degli stati d’animo , degli umori, della psicologia: era anche lui uno di quelli che inseguono la vita che sfugge, un cacciatore dell’inafferrabile, come gli scattatori d’istantanee.
Doveva seguire la via opposta: puntare su un ritratto tutto in superficie, palese, univoco, che non rifuggisse dall’apparenza convenzionale, stereotipa, dalla maschera. La maschera, essendo innanzi tutto un prodotto sociale, storico, contiene più verità d’ogni immagine che si pretenda “vera”; porta con sé una quantità di significati che si riveleranno a poco a poco. Non era proprio con questo intento che Natalino aveva messo su quel baraccone d’uno studio?
ADESSO CONTINUA TU, OPPURE…
ARRIVEDERCI ALL’ OTTAVA PUNTATA!
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