Non leggete oltre, se non avete ancora giocato o risolto il quiz DOV’E’?/4 e preferite disporre di un po’ di tempo in più per trovare la soluzione. Ma se volete verificare le vostre ipotesi, o …vi arrendete, allora andate avanti!
La città misteriosa è Torino, il brano proposto nel quiz è tratto dal libro di GIUSEPPE CULICCHIA, Torino è casa mia, Laterza, Collana Contromano, nuova edizione 2014.
Di seguito è ripoortato il testo originale, senza manipolazioni.
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[…] Per molto tempo a Torino si è parlato della Torino ‘che verrà’. Oggi quel futuro si sta delineando. E a tre anni di distanza dalle Olimpiadi invernali del 2006 si può forse provare a fare un check-up della città da un punto di vista architettonico e urbanistico. In che condizioni è il corpo di Torino? Le aspettative della collettività sono state soddisfatte? Le promesse delle autorità mantenute? Ne parlo dall’alto della Torre Littoria con Benedetto Camerana, l’architetto che ha coordinato il team internazionale cui si deve la realizzazione dell’Arco del Lingotto e del Villaggio Olimpico nell’area degli ex Mercati Generali.
«A Torino si è fatto molto, ma molto resta ancora da fare. Per restare alla metafora del corpo, potremmo dire che il centro storico, grandissima eredità della visione dei Savoia e dei loro architetti, è la testa, e dunque il volto della città. Bene. Il lifting cui è stato sottoposto è ben riuscito, privo di eccessi. Nel resto del corpo invece sono stati fatti trapianti, protesi: il Ponte Olimpico per esempio è come un bypass che innesta un’arteria in più, migliorando la circolazione sanguigna tra quelle due parti del corpo urbano. E certo, se si considera l’insieme di questi interventi, si scorgono contraddizioni in termini di qualità.»
È di questi giorni l’appello al sindaco per evitare l’ennesimo abbattimento di una fabbrica, le OGM. Al contrario di quanto accade nel resto del mondo, a Torino l’architettura industriale anziché essere riciclata viene sistematicamente rasa al suolo.
«Le fabbriche per Torino erano muscoli: pompavano dinamismo nella città. Oggi tutti camminiamo meno di un tempo, e al posto dei muscoli si sono costruiti quartieri residenziali. In certi casi il trapianto è stato un po’ rigettato. Senza voler giudicare il lavoro altrui credo si possa dire che sono state fatte cose più belle e altre meno belle, e che i risultati migliori sono venuti dal pubblico. Va anche detto che dal punto di vista della qualità il mercato italiano è quello che è: i quartieri residenziali a Torino non sono granché, ma succede lo stesso anche nel resto del Paese. Bisogna però tenere presente che contestualmente alla chiusura delle fabbriche, nel 1995, è partito il nuovo Piano Regolatore di Cagnardi. Questo ha aperto le porte alla trasformazione di una città che non aspettava altro.»
Resta il fatto che basta andare a Copenaghen o ad Anversa per rendersi conto di come anche in fatto di quartieri residenziali oggi in Europa si possano vedere cose assai diverse rispetto a quelle sorte di recente nella nostra città.
«Da un lato, tutto è stato fatto con grande rapidità, e non c’è stato modo di lavorare gradualmente, così da valutare l’effetto di ciascun cambiamento prima di procedere a quelli successivi. Le varie Spine, per dire, sono nate contemporaneamente. Dall’altro, i costruttori sono in linea di massima sempre gli stessi, cioè quelli locali, e ne consegue che il mercato torinese è chiuso. Naturalmente i mercati chiusi sono quelli che vedono meno innovazioni, ed è per questa ragione che i nuovi quartieri sono così simili tra loro. E, tornando a parlare di fenomeno di rigetto, talvolta sono i cittadini che come globuli bianchi attaccano l’organo trapiantato.
Ma siamo in una fase di lavori in corso, e il futuro non è ancora delineato pienamente.»
Che cosa resta da fare?«Moltissimo, perché i problemi aperti sono tanti, a cominciare dalla cosiddetta Città della Salute. Si è parlato di portarla a Collegno o a Grugliasco, e allora viene da chiedersi: fin dove arriva il corpo di Torino? Un’altra questione da risolvere è quella delle Basse di Stura: che fare di quell’area? E Mirafiori? Dopo le facoltà d’ingegneria arriveranno anche le residenze universitarie? C’è tanto da pensare, insomma, e questo è positivo. Ma si tratta di riflessioni complesse, perché il luogo e la funzione dovrebbero essere integrati con accoppiamenti biunivoci. Tuttavia, anche il discorso sul centro della città rimane aperto».
Ci avviciniamo a una delle finestre al 13° piano della Torre Littoria. Piazza Castello brulica di gente. «Il fatto è che il centro storico della città è stato sempre un luogo abitato, prima soprattutto da fasce economicamente più deboli, ora anche più da benestanti. Accade dappertutto, ma a Torino il centro è ancora molto misto. Vedo però due rischi: innanzitutto lo svuotamento abitativo che potrebbe seguire l’improvviso successo turistico e immobiliare della città. Un centro vive perché ci sono i residenti, in caso contrario si rischia di fare la fine di Venezia: e perciò i residenti vanno trattati bene, senza dare per scontato che siano tutti facoltosi, perché per fortuna così non è. Qui invece si tende a rendere difficile la vita a chi risiede in centro, e soprattutto ai meno abbienti: penso al problema del parcheggio, che i più ricchi risolvono comprandosi un box, o girando in taxi. In secondo luogo, l’effetto circo: le piazze San Carlo, Castello e Vittorio Veneto hanno il loro carattere e la loro vocazione, sono spazi aulici, e dovrebbero essere vissuti come tali, senza cedere alla tentazione di ripetere le innumerevoli baraonde che abbiamo visto in questi ultimi anni. Fino a ieri servivano a ‘lanciare’ Torino, ma oggi non ne abbiamo più bisogno, in centro è meglio alzare il livello e spostare le manifestazioni più allegre e chiassose nelle ‘nuove centralità’ come il Lingotto, il Palahockey, magari la futura Mirafiori.»