Ha poco più di trent’anni (è nato nel 1982), da sempre vive a Marghera, città che ama e considera unica, perché – dice – racchiude al suo interno una storia politico-sociale molto interessante e poco valorizzata. E poi ha spunti narrativi eccezionali ci sono delle persone che hanno storie da raccontare con le quali si potrebbero riempire interi scaffali.
Dopo aver frequentato l’istituto “Gritti” di Mestre, si è laureato a Padova in Diritti Umani ed ha studiato per un anno alla Scuola Complutense di Madrid. Adesso svolge un lavoro impegnativo e socialmente utile, in un servizio del Comune di Venezia che si occupa di lotta allo sfruttamento della prostituzione.
È un lavoro essenziale – sempre parole sue – ma poco valorizzato dai poteri centrali dello Stato. In giro per l’Italia e nel nostro comune ci sono ottimi educatori e mediatori linguistici culturali che prestano il loro servizio portando un beneficio a tutta la comunità, eppure lo fanno pressoché nell’ombra e con situazioni contrattuali precarie.
Quando non lavora, tra i suoi passatempi primeggia lo sport. E mica una cosa da niente, ma roba da campioni: non tanto per la passione per il Kettlebell (dei pesi russi che assomigliano a delle palle di cannone con il manico, secondo la sua colorita descrizione), quanto per la kickboxing, che pratica dal 2001 e dove dal 2010 è diventato nientemeno che cintura nera secondo dan, mentre nel 2009 ha conseguito il diploma di istruttore, esercitando poi effettivamente questa attività, anche a fianco dell’ex campione del mondo di point fighting Gianpietro Ribon. Lui stesso naturlamenteha partecipato a diversi corsi, nonché nientemeno che ai Bristol Open e ai Mondiali WKC di Cadice, combattendo nella categoria dei -75 kg. –La scuola di riferimento per sua la formazione di atleta è l’Auxe, vivaio di molti nomi di rilievo della zona, che attraverso le arti marziali, tramite l’aumento di autocontrollo e autostima, si propone di promuovere la crescita della persona, non solo a livello fisico, ma anche mentale ed emozionale. E in effetti, per uno che tra i propri difetti annovera una certa insicurezza e la difficoltà a mantenere a lungo la concentrazione, mi pare che non ci si possa lamentare. Con tanti interessi e successi al proprio attivo, proprio deconcentrato ed insicuro non si direbbe, anzi!
E poi, il nostro amico è certamente una persona di buoni valori e tenaci sentimenti. Di sé dice di essere innamoratissimo e di considerare l’amore componente essenziale della propria vita, anche se prudentemente aggiunge che per alcuni, talvolta, se mal gestito e distorto, questo sentimento può diventare fonte di tensione e sofferenza. Altrettanto importanti sono per lui gli altri affetti: la famiglia, fondamento della personalità, e le amicizie. Che nel suo caso sono molte e molto profonde: confessa infatti, con una buona dose di giusta soddisfazione, di avere non uno, ma numerosi “migliori amici”!
Impegno e dedizione però non riguardano esclusivamente la sfera del privato. Convinto che la civiltà, anzi, le diverse civiltà contemporanee soffrano di una gravissima crisi di valori, per quanto riguarda specificamente l’Italia, pensa che oggi stiamo pagando un conto salatissimo di anni di pessima gestione del paese. Indifferenza e rassegnazione, due malattie terminali della società, si sono così sviluppate in modo abnorme. Quello che gli fa più paura di questa situazione è infatti la cecità di certe persone davanti alla realtà. Un po’ tutti – dice – ci accontentiamo di leggerla sui quotidiani o guardarla al telegiornale, non la viviamo più, interagiamo troppo sui social e troppo poco socialmente.
A infondere un moderato ottimismo, a portare uno squarcio di speranza, è talvolta l’incontro con persone attive, che si spendono per realizzare i propri sogni a prescindere dal contesto che le circonda, il parlare con un cinquantenne che ha perso il lavoro ma non molla, ascoltare uomini come Gino Strada. Allora, gli sembra di trovare aria pura dopo aver respirato monossido di carbonio. Ma non basta. L’impegno deve, o dovrebbe, essere di tutti.
E qui arriviamo ad un altro aspetto della personalità di quest’uomo misterioso (che in realtà misterioso non lo è per niente e mi è sembrato anzi molto aperto e disponibile, oltre che interessante). Si tratta di un elemento importantissimo, non soltanto per il ruolo che riveste nella sua vita, ma anche per le implicazioni che presenta per la sua attività, e quindi riguardo quello che ci interessa di più nel nostro approccio a lui.
Mi riferisco alla lettura, sua grande passione di sempre. Quando non lavora, non si allena o non coltiva affetti e relazioni, lui legge. Legge, legge, legge. Sin da bambino è stato attratto dalle storie narrate, soprattutto d’avventure e di mistero: Conan Doyle, Burroughs, Stevenson, Rodari, Salgari erano gli scrittori del cuore. E il flusso delle letture non si è mai interrotto: oggi legge soprattutto Carlotto, De Cataldo, Lucarelli, Camilleri, Crais, Lansdale, Elmore Leonard, Don Winslow… La lista potrebbe continuare ancora a lungo, citando molti autori di cui apprezza particolarmente lo stile, la lucidità di analisi della realtà, i personaggi, il modo in cui li fanno vivere. Facendoci capire che più di tutto gli piacciono ancora le storie che sanno di strada, tensione e voglia di uscirne vivi a tutti i costi. E non per caso. Perché tramite la lettura cerca di divertirsi ma anche di imparare. Un po’ come si fa con il Clementino…
È questo un ulteriore tassello che arricchisce l’immagine di una personalità già ricca e versatile, ed è anche un indizio per capire qualcosa di più sull’identità. Infatti, il motivo per cui ora ci troviamo qui a parlarne non è tra quelli citati finora, bensì qualcosa ancora di diverso, che con la lettura però c’entra molto, dato che – come dice lui – non può fare a meno di leggere chi a sua volta vuole scrivere. Eh sì, perché stiamo parlando proprio di uno scrittore…
E adesso basta, sveliamo il mistero. Di nome fa Stefano, di cognome Cosmo. All’identificativo va però aggiunto un terzo elemento, quel Sabot che ci riporta al Collettivo di scrittura fondato da Massimo Carlotto e composto oggi da sei giovani autori, tre dei quali, tra cui Stefano, hanno pubblicato di recente un libro, quel Padre Nostro che ha tutti i numeri per diventare un best seller.
Tutto quello che leggerete qui su di lui è assolutamente vero ed autentico, frutto di un’intervista e di una lunga conversazione virtuale a cui Stefano Cosmo si è gentilmente prestato. E quando dico “gentilmente” non è per usare una formula generica di cortesia, ma un dato di fatto, perché vi assicuro che l’ho veramente tartassato di brutto. Avrebbe potuto ribellarsi, e invece no: ha stoicamente accettato tutto. Del resto, a quanto lui stesso dichiara, la sua migliore qualità, che è anche il peggiore difetto, consiste nel non saper mandare a quel paese chi se lo meriterebbe… E’ quindi con qualche senso di colpa, ma anche con grande soddisfazione che vi propongo questo ritratto, in attesa di conoscere di persona questo autore, che sarà presente in Biblioteca a Spinea la sera del 16 ottobre per presentare e discutere con i lettori del Gruppo Gialli appunto Padre Nostro, ilnoir scritto insieme a Piergiorgio Pulixi e Ciro Auriemma del Collettivo Sabot.
Stefano Cosmo alla scrittura ha pensato sin da ragazzino, alimentando le proprie passioni anche tramite la lettura che da sempre costituisce uno dei suoi passatempi preferiti. E che oggi – dice – è diventato non è più soltanto un divertimento, anche un formidabile e imprescindibile strumento di formazione e di crescita, anche artistica e professionale.
Dopo i primi e un po’ confusi tentativi adolescenziali, il primo esempio concreto, le prime prove effettive sono arrivate mentre, all’università di Padova, seguiva un corso di studio sul fenomeno della tratta di persone a scopo di sfruttamento. Racconta: C’erano storie potenti, e mentre giravo per la città vedevo personaggi, intrecci…così a un certo punto mi sono deciso e li ho messi su carta.
Scrivere è per lui un obiettivo ed uno sfogo. La grande svolta è stata l’incontro con Carlotto e l’ingresso nel Sabot, di cui evidentemente apprezza e condivide intenti e motivazioni.
Com’è noto, i membri del Collettivo si riconoscono, oltre che nell’esigenza personale di esprimersi nella scrittura, anche nella convinzione che il romanzo, soprattutto il noir – di cui Carlotto è un indiscusso caposcuola – debba fondamentalmente rinunciare a qualsiasi intento consolatorio, per raccontare invece la verità, ovvero contraddizioni, storture e pecche della società contemporanea, italiana e non solo. Scavare senza pietà nel marcio delle organizzazioni criminali e delle istituzioni proposte alla tutela dell’ordine, scoprirne il lato oscuro per mettere in luce malefiche connessioni e inquietanti connivenze. Per questo il noir – e sarebbe più corretto dire il nuovo noir mediterraneo – deve nascere da un lavoro minuzioso e rigoroso di documentazione preliminare in cui si annullano i confini e si incrociano obiettivi e metodi di inchiesta, cronaca e letteratura.
Anche Stefano, che a Carlotto continua a guardare come a un maestro e riferimento importante , è convinto che la letteratura, e in particolare la narrativa, non debba essere soltanto una forma di intrattenimento e di evasione, ma anche mezzo di informazione e di coinvolgimento attivo nelle questioni più scottanti che, anche nostro malgrado, ci coinvolgono da vicino.
Perché – dice – da quando il giornalismo d’inchiesta è stato bersagliato continuamente dalle querele per impedire ai giornali di pubblicare storie scomode, alcuni autori sono l’unica fonte di divulgazione per certi argomenti. Ma non si tratta solo di denunciare gli aspetti negativi della società e le trame più nere della malavita: per chi legge, come del resto per chi scrive, poter osservare la realtà che ci circonda con occhi diversi, più lucidi e consapevoli, è una maniera per trovare ed infondere una qualche speranza, senza la quale non può esistere alcuna forma di progresso.
Scrivere un libro come Padre Nostro è stato dunque una forma di forte impegno politico e sociale. Conciliando appunto due aspetti solo apparentemente divergenti dell’attività di scrittura: nella fase preliminare di raccolta del materiale prevalgono elementi di giornalismo, mentre nell’ideazione, e soprattutto della stesura della storia, invece, s’impone la figura del romanziere, con tutte le implicazioni del caso. Perché così deve essere, secondo Stefano, nella letteratura e nel ruolo dell’autore E così appunto si hanno fatto con successo lui stesso e co-autori del Collettivo.
Le ragioni di orgoglio e soddisfazione ci sono già tutte, e Stefano ne è consapevole: confessa che, dopo la lettura di Padre Nostro, gli piacerebbe che ai lettori rimanesse qualche personaggio impresso a fuoco nella mente e la voglia di leggere il seguito....
Ma più avanti il nostro amico non disdegnerebbe di percorrere nuove strade, sperimentare anche altri generi narrativi, per esempio raccontare storie di atleti (e non sarà per caso!), affrontandole in modo nuovo e originale, completamente diverso da come è stato fatto finora.
Insomma, progetti ed ambizioni non mancano. Infatti… ecco, testualmente, le ultime battute dell’intervista:
Dom. E in particolare, che cosa ti piacerebbe che i lettori pensassero di te come scrittore?
Risp.“Dannazione, ma questo come lavoro deve assolutamente fare il romanziere!”