Giovedì 24 febbraio il gruppo di lettura BLU ha discusso “Rosa candida” di Audar Olafsdottir. Trovare un libro che convince e desiderare di consigliarlo ad altri, è una bellissima sensazione.
Con “Rosa candida” abbiamo iniziato a condividere e discutere i testi scelti dai partecipanti ai nostri Gruppi di Lettura durante lo scorso Book Contest.
Ci sono romanzi che entrano in punta dei piedi nell’animo dei lettori e che meritano di essere letti ed assaporati pagina dopo pagina con delicatezza, “Rosa candida” è sicuramente uno di questi. Accolto con entusiasmo dai lettori, ha stimolato una discussione molto ricca di spunti di riflessione.
Da molti è stato interpretato come un romanzo di formazione. Lobbi, il protagonista del racconto, intraprende un viaggio fuori dal proprio paese d’origine, l’Islanda, alla ricerca di sé stesso; questo percorso lo porta sicuramente a crescere, maturare e a prendere consapevolezza del suo stare al mondo responsabilmente, come padre, come compagno e come uomo.
Molti sono i temi emersi durante l’incontro: la maternità, la paternità, il rapporto di coppia e la ricerca del proprio posto nel mondo, ma un unico filo conduttore ha attraversato tutte le pagine del libro: la cura.
Attorno al concetto del curare, si declinano i livelli di lettura dell’opera e si intrecciano in maniera per nulla casuale tutti i personaggi. Attraverso la cura, Lobbi riesce a custodire il prezioso rapporto con il padre e il fratello rimasti in Islanda e con la madre scomparsa, riesce a far germogliare il giardino del monastero in cui ha trovato lavoro e rifugio e soprattutto riesce a far sbocciare l’amore per la figlia Flora Sol.
Audur Ava Olafsdottir, con una scrittura asciutta e semplice, essenziale e fluida, ci regala un piccolo gioiellino da gustare con lentezza.
Vi proponiamo alcune riflessioni sul libro, e… non lasciatevelo sfuggire!
“Rosa Candida” della scrittrice islandese Audar Olafsdottir è un libro che è piaciuto a me, ma, mi pare, anche a tutto il gruppo di lettura BLU. In esso viene descritto un tratto di vita di un giovane uomo alle prese con le scelte importanti del vivere e con gli imprevisti che incontra lungo il percorso, a volte provvidenziali per maturare, per prendersi cura di sé, del proprio corpo, dei legami essenziali di cui si nutre e della bellezza della natura.
È un libro da gustare e da consigliare, per me. (Marisa)
«Avanziamo lentamente verso il coro, dove il sole rosso arancio apparirà all’alba. A poco a poco la luce delicata si apre un varco tra le vetrate variopinte, e si spande dentro la chiesa come un velo leggero di cotone bianco. Mia figlia è immobile sulle mie spalle. Mi faccio schermo con la mano e fisso lo sguardo direttamente nello splendore accecante. È allora che la vedo, lassú, nella vetrata del coro: la rosa purpurea a otto petali. Nello stesso momento in cui il primo raggio trafigge la corolla e va a posarsi sulla guancia della bimba»
Libro piacevole per la sottile e intelligente ironia. Mi ha suscitato commozione il ricordo della figura materna, persona descritta nella sua capacita di ascolto, comprensione e penetrazione dell’animo umano ( quanto meno in relazione al figlio).
La madre è stata il punto fermo di Arnljótur, il suo modello di vita e di passioni (prendersi cura delle piante e prendersi cura degli altri). Lei “guardava sempre un punto lontano da se come trasportata su altri mondi e dimensioni.”
Un libro da cui si respira un grande amore per la natura , il prendersi cura delle piccole cose , la talea, le rose, l’erba, i fiori. La descrizione di una vita semplice scandita dai ritmi naturali. E’ stato bello seguire l’evoluzione del travaglio spirituale di un giovane che trovando se stesso trova l’amore, la famiglia e una nuova maturita’. Rimangono ignoti i nomi dei luoghi, il nome del monastero, del paese dove si trovava e dei paesi attraversati nel viaggio… (Santina)
Di questa scrittrice islandese,cominciando da “La donna è un’isola” ho via via letto tutto quello che è apparso in italiano. “Rosa candida” (che non è il titolo originale, se devo dar credito al traduttore di Google, secondo il quale la parola islandese Afleggjarinn significherebbe “La propaggine”) è a mio parere uno dei testi più riusciti, e a renderlo interessante, tra le tante caratteristiche, è anche quella che a me è sembrata una specie di sfida della scrittrice: usare senza remore un registro che può rischiare di apparire favolistico, positivo per partito preso. Il che è invece evitato per due ragioni, che poi si intrecciano e si sostengono a vicenda: l’assenza di toni didascalici, che toglie ogni pesantezza a una vicenda che rischia sempre di sembrarci esemplare, e invece pur nella sua irrealtà complessiva, siccome si nutre di continue notazioni sulle incertezze, ambiguità, debolezze, slanci, pulsioni, del protagonista, ci fa restare in un “mondo di qua”, nonostante il protagonista ascenda fino a quell’ allusivo paradiso terrestre che è il giardino del convento.
Secondo elemento: la scrittura dell’autrice. Pur leggendola in traduzione mi pare che si possa essere abbastanza certi della sua anti retorica, o se si preferisce, della sua medietà, per cui tutto viene raccontato senza concessioni alla ricerca dell’effetto, della metafora “originale” fine a se stessa, del nebuloso suggestivo solo della propria vaghezza. Un’ironia non tanto di parole quanto di situazione ci tiene sempre a una certa distanza da quello che viene raccontato, a sottolinearne la consapevole “irrealtà” ma nel quadro di una possibilità. Insomma, forse: la vita come potrebbe essere se. Descritta e raccontata con un sorriso che non sappiamo se è più di distacco o di simpatia.
Complessivamente infine a me pare che l’autrice abbia una sua voce, riconoscibile, non confondibile, il che non è certo merce molto diffusa. Una voce pulita, che non dà mai l’impressione di volerci impressionare con lenocini stilistici fine a se stessi, o attraverso personaggi limite portatori di chissà quali significati ( si veda, in proposito l’equilibrio di simpatia e ironia con cui viene costruito il formidabile personaggio del frate cinefilo) e che proprio per questo si ascolta con piacere e magari anche utilità. Una lettura alla fine della quale ti ritrovi con la sensazione non tanto o non solo di aver passato bene, ma impiegato bene il tuo tempo: di lettore e di persona.