Molte proposte di lettura emergono sempre nei Gruppi dell’Ora del tè, ma una delle più condivise da lettrici e lettori è stata quella di cominciare a leggere libri che ci aiutino a pensare insieme sul nostro tempo, a riflettere, conversando tra noi, sul mondo di cui facciamo parte.
Nell’incontro di giovedì 28 Ottobre 2010 abbiamo commentato il libro di Mario Calabresi, “Spingendo la notte più in là”, la storia di una famiglia italiana, quella del Commissario Luigi Calabresi ucciso dal terrorismo il 17 maggio del 1972. La discussione del gruppo è stata appassionata perchè per tutti questa è stata una lettura significativa e forte. Questo è un libro che riesce ad andare dritto al cuore dei lettori suscitando una emozione destinata a trasformarsi in pensiero sul nostro paese.
Leggere due libri, Spingendo la notte più in là di Mario Calabresi e Qualunque cosa succeda di Umberto Ambrosoli, può essere una parziale riparazione per chi, allora 20 o 30enne, non si interessò degli omicidi dei papà dei due autori e nemmeno della storia italiana di quell’epoca, “per comprendere il paese”. Il commissario Luigi Calabresi fu ucciso nel 1972, Lotta Continua lo ritenne responsabile della morte dell’anarchico Pinelli; Giorgio Ambrosoli, avvocato liquidatore di Banca Privata Italiana, fu fatto uccidere nel 1979 da Michele Sindona.
Questi due uomini, in ambedue i libri descritti non come eroi ma come “persone comuni con la passione per le cose che facevano e a cui si dedicarono, amavano il loro lavoro e lo facevano con scrupolo”, con la lettura dei due libri cessano di essere una targa ricordo o il nome di una piazza, di una sala o di una via, e diventano soprattutto dei papà, persone oneste di cui i loro figli raccontano. Sono soprattutto i particolari che tengono viva la memoria, quei piccoli momenti familiari che i due autori ricordano e, dice Calabresi, non la prosopopea di grandi discorsi tenuti da alte personalità.
Nel libro di Calabresi risalta il “fine pena mai” per i parenti delle vittime, del terrorismo o della delinquenza in vari modi organizzata, mentre la pena termina per gli autori dei delitti, una volta scontato il carcere o una volta intervenuto l’oblìo mediatico. Guido Salvini, oggi giudice, nel libro dice a Calabresi: “Allora avevo 17 anni, dicevamo cose di cui non avevamo coscienza, non immaginavamo la violenza che avrebbero prodotto”. Corrado Augias: “Chi allora uccise scrive memorie, fa interviste. Le vittime vennero uccise per il sogno di un gruppo di esaltati che giocavano alla rivoluzione, illusi di essere spiriti eletti; figli del popolo furono bersagli della loro stupida follia”. Risalta anche la non rabbia o recriminazione della sua famiglia per chi li ha privati di un affetto così grande. Calabresi condivide il suo libro con altri “ospiti” parenti di vittime e ci riporta alle strade di Milano piene di violenza negli anni 70.
Umberto Ambrosoli ha invece, nel ricostruire gli ultimi 5 anni di vita di suo padre e il paese di allora, la stessa pazienza certosina, la stessa curiosità che ebbe suo papà Giorgio nella ricostruzione del crack dell’ ”impero Sindona”, impero di carta creato a scapito del denaro pubblico. Fu proprio questa curiosità e la convinzione di fare un buon servizio alla collettività che mise a nudo i trucchi di Sindona e le connivenze con tanto potere politico, che il finanziere poteva ricattare per le tangenti date: la DC di allora con Giulio Andreotti, Franco Evangelisti, Gaetano Stammati, Massimo De Carolis (sembra di rivedere il cast del film Il Divo con Tony Servillo). Oltre che col potere politico, nel tradizionale sovrapporsi degli interessi che si ha in Italia, vi furono i molti collegamenti con la P2 (Gelli), lo IOR e la mafia nazionale e italo-americana. Nel libro è contenuto pure un giudizio mediocre sul pavido o furbo Enrico Cuccia, definito un “Don Abbondio”. A beneficio o a causa di tutti i collegamenti interessati che Sindona si era creato era da aspettarsi, al suo rientro in una prigione italiana, una risolutoria tazza di caffè avvelenata.
Due frasi bellissime: “Dovevo portarlo con me nel mondo, non umiliarlo nelle polemiche e nella rabbia, così non l’avrei tradito”, la dice Mario Calabresi di suo padre; “Come ci si può figurare che non ci sia più chi da sempre è stato presente? Papà è parte della vita, è inscindibile dalla vita”, Umberto Ambrosoli parlando di sé bambino di 8 anni; cita pure una frase di Giovanni Falcone, “Prima ti lasciano solo, poi le calunnie, poi ti uccidono”.
…Passa una vela spingendo la notte più in là…
E’ un libro importante con cui Mario Calabresi ci fa conoscere alcuni tragici avvenimenti degli anni ’70 da un altro punto di vista, quello storicamente più trascurato dei familiari delle vittime, ed egli sa di dover raccontare anche per quelli che non sanno o non possono farlo, sopraffatti dalla disperazione o dalla rabbia.
Provo molta ammirazione per la madre, Gemma Capra Calabresi, che cresce tre figli “cercando di vaccinarli dall’accidia, dall’odio, dalla condanna a essere vittime rabbiose”. E’ una donna coraggiosa, che scommette sulla vita, sull’amore, che non si piega alla cultura della morte. Infatti anche Mario, alla fine del libro, ricordando di quando, ragazzo, capisce che è giusto guardare avanti, camminare, impegnarsi per voltare pagina pur nel rispetto della memoria ma lasciando stare polemiche e rabbia, scrive:”Bisognava scommettere tutto sul’amore per la vita”.
Significativo inoltre come l’autore descrive l’entrata nella loro vita familiare di Tonino, colui che poi farà loro da padre, insegnante, pittore di sinistra, un altro mondo… ma Gemma e i suoi figli riescono a far avvicinare due mondi così diversi, Tonino e i nonni, “… un paradigma di come potrebbe essere il nostro Paese se cadessero steccati e barricate. Impararono ad apprezzarsi pur senza cambiare le loro idee di fondo che con il trascorrere delle stagioni finirono anche per coincidere in alcuni passaggi.”
Ben detto Antonella, condivido pienamente la tua presentazione, ci fu un pò di tiepidezza alla fine della stagione scorsa sulla proposta di leggere qualche libro di storia recente, giornalistico, di quelli che vengono scritti ad avvenimenti e polemiche sedate, invece ora constatiamo le discussioni “accese”, l’interesse per libri così. Leggere è libertà, leggere è consapevolezza, un cittadino che legge – e in specie se legge fatti della vita pubblica del ns. Paese – difficilmente si fa manipolare.
“La fortuna non esiste”
A volte mi succede che, dopo aver letto un libro per l’Ora del Tè, e averne discusso con gli altri del Gruppo di Lettura, mi vien voglia di leggere altri libri dello stesso autore. Così dopo aver apprezzato molto Mario Calabresi in “Spingendo la notte più in là” sono andata a leggermi “La fortuna non esiste”. Anche questo è un racconto in prima persona con cui Calabresi mi ha molto emozionata, anche perchè conosco pochissimo della gente degli Stati Uniti.
Due anni, 2007-2009, in viaggio attraverso l’America, 36 Stati, l’elezione presidenziale più emozionante e tante vite di gente comune. Storie di uomini e donne che hanno avuto il coraggio di rialzarsi, storie vere, tremende, che fanno riflettere e anche sperare.
C’è una qualità nel temperamento americano chiamata “resiliency” che abbraccia i concetti di elasticità, di rimbalzo, di risorsa e di buon umore.
Quando Mario Calabresi racconta queste storie che hanno dell’incredibile alla nonna (una che ne ha passate veramente tante nella vita), lei gli risponde con tranquillità: “L’unico segreto è quello: il coraggio di ripartire e di non farsi abbattere. La fortuna non esiste, la costruiamo noi ogni giorno”.
Il libro di Zoe Wicomb è chiarificatore, illuminante, sulle divisioni sociali dopo (dopo?) l’apartheid in Sud Africa. E’ stata una fatica leggerlo, ne valeva la pena ma … fatica: piani temporali che si spostano continuamente, discorso diretto riportato improvvisamente senza punteggiatura, bisogna continuamente far mente locale su chi sta parlando e in quale tempo. Buona discussione a tutti!