“L’uomo di oggi non vuole ammettere di non essere onnipotente… A Chernobyl ci si comportava come in guerra. E la trasformazione dell’uomo da precernobyliano a cernobyliano avvenne sotto i nostri occhi.
Cambiò il mondo. Cambiò il nemico. La morte ebbe facce nuove che non conoscevamo ancora. Non si vedeva, la morte, non si toccava, non aveva odore. Mancavano persino le parole per raccontare della gente che aveva paura dell’acqua, della terra, dei fiori, degli alberi. Perché niente di simile era mai accaduto, prima.”
Svetlana Aleksievič, premio Nobel per la letteratura 2015, con il suo libro Preghiera per Chernobyl’. Cronaca del futuro, trova le parole per raccontare l’inedito di quella esperienza drammatica.
Il vecchio lessico della politica, definito da parole come “noi-loro“, “lontano-vicino“, non ha più alcun senso nell’era di Chernobyl e Fukushima. Le nuove modalità di relazione tra le persone e la diversa percezione della realtà, hanno bisogno di una narrazione capace di comprenderle e comunicarle.
Quello che è accaduto con la assegnazione del premio Nobel per la letteratura 2015 a Svetlana Aleksievič, è un vero terremoto rispetto ai canoni classici cui si pensa comunemente per un premio Nobel per la letteratura. L’Accademia Svedese – “che capisce il dolore russo” – l’ha scelta “per la sua polifonica scrittura nel raccontare un monumento alla sofferenza e al coraggio dei nostri tempi“.
I giurati hanno voluto premiare un’autrice che ha scelto forme nuove, rispetto a quelle del romanzo classico, per raccontare le radicali trasformazioni del nostro tempo.
Nei suoi libri ha sviluppato un genere letterario da lei definito “romanzo di voci”, basato sulla raccolta di centinaia di testimonianze.
Ma che cosa significa “romanzo di voci”? Cosa significa raccontare il nostro tempo?
Roberto Saviano prova a spiegare così questa definizione:
“Cos’è esattamente Svetlana Aleksievic, una giornalista o una scrittrice?
È più giornalista o più scrittrice? Che pensano di lei gli altri giornalisti? E gli altri scrittori?
È rigorosa nel racconto o si prende delle licenze?
Queste domande sono fuorvianti, perché non tengono presente il fine. E il fine è creare un affresco letterario. Ecco, la non fiction può essere raccontata in questo modo: è un genere letterario che non ha come obiettivo la notizia, ma ha come fine il racconto della verità. Lo scrittore di narrativa non fiction si appresta a lavorare su una verità documentabile ma la affronta con la libertà della poesia.”
Per comprendere meglio questa idea prendiamo “in prestito” le parole di un’altra scrittrice:
“Nei terribili anni della ežovščina [epurazione, ndr] ho trascorso diciassette mesi a fare la coda presso le carceri di Leningrado. Una volta un tale mi “riconobbe”. Allora una donna dalle labbra bluastre che stava dietro di me, e che, certamente, non aveva mai udito il mio nome, si ridestò dal torpore proprio a noi tutti e mi domandò all’orecchio (lì tutti parlavano sussurrando): – Ma lei può descrivere questo? E io dissi: – Posso. Allora una specie di sorriso scivolò per quello che una volta era stato il suo volto. 1° aprile 1957. Leningrado” (Anna Achmatova, “Requiem”, in Poema senza eroe e altre poesie, Einaudi).
Per approfondire: la raccolta di recensioni nel sito della Casa Editrice e/o.
I libri di Svetlana Aleksievic usciti in Italia:
- Ragazzi di zinco (e/o 2003) – sulla guerra afgana vista con gli occhi dei reduci sovietici e delle madri dei caduti.
- Incantati dalla morte (e/o 2005) – sui suicidi causati dal crollo dell’Unione Sovietica.
- Preghiera per Cernobyl (e/o 2004) – vincitore del Premio Sandro Onofri per il miglior reportage narrativo.
- Tempo di seconda mano. La vita in Russia dopo il crollo del comunismo (Bompiani, 2014).