A Murano con Marco Toso Borella

Si è svolta sabato 13 ottobre l’uscita a Murano organizzata dal Gruppo di lettura l’Italia in Giallo con la collaborazione di Luigi Benedetti. Una dozzina di partecipanti, fra cui il coordinatore del Gruppo Carlo Marchiori e Antonella Bullo, sono approdati in laguna per visitare alcuni dei monumenti più significativi. Guida d’eccezione  Marco Toso Borella, storico, scrittore, esperto di storia dell’arte, nonché incisore e vetraio nella sua bellissima e amatissima isola.

Si è così potuto finalmente realizzare il progetto abbozzato sin dalla corsa primavera, quando il Gruppo aveva letto il suo Venezia impossibile, originale romanzo storico e giallo sui generis, avendo poi il piacere di incontrane l’autore a Spinea  nella serata in cui il libro era stato discusso.
Marco Toso, cordiale, spiritoso, pronto a fornire spontaneamente una valanga di informazioni e chiarimenti, ma anche ascoltatore attento e ricettivo delle osservazioni dei lettori, aveva conquistato tutti, facendo scaturire in modo inaspettato ed estemporaneo l’ipotesi – subito accolta – di un incontro guidato nella sua Murano.

Per la verità l’idea dell’escursione nei luoghi suggeriti dai romanzi letti non era nuova per il Gruppo in Giallo, che, sempre nella scorsa stagione, aveva organizzato una  passeggiata in riva al Sile sulle tracce delle Commesse di Treviso di Ervas. Anche Murano, ovviamente, era già stata presa in considerazione, ma nessuno aveva immaginato di poter contare sul valore aggiunto dato dalla presenza dello scrittore, fino a quando la conoscenza diretta e soprattutto la sua squisita disponibilità non lo hanno reso possibile. Così quella che poteva rimanere una semplice gita è diventata un’esperienza di ben maggiore spessore culturale, complice naturalmente la valenza artistica e storica dello scenario.

Marco si è rivelato ospite e interlocutore gradevolissimo, capace di unire alla simpatia una straordinaria competenza e un amore appassionato per tutto ciò che costituisce il vissuto storico dell’isola. È però un amore spesso venato di tristezza ed anche di giusta indignazione per il degrado attuale,  l’incuria e lo stato di abbandono in cui sopravvivono stentatamente molte opere di enorme pregio. E c’è il rimpianto per tutto ciò che nei secoli è andato definitivamente perduto a causa di furti, demolizioni, saccheggi. Ricordiamo, per esempio che prima dell’avvento di Napoleone, a Murano si contavano diciotto tra parrocchie, monasteri e conventi. Oggi rimangono solamente tre chiese funzionanti (Santa Maria e Donato, San Pietro Martire, Santa Maria Degli Angeli), mentre di altre, come Santa Chiara, San Maffio e Santo Stefano, sono visibili soltanto alcuni resti. E del resto episodi di vario scempio continuano a verificarsi ancora oggi a danni di opere religiose e civili, anche da parte di chi a vario titolo – autorità, fruitori e presunti esperti – più dovrebbe averne a cuore la conservazione e la tutela, per amore o semplicemente per etica professionale.

Passeggiando lungo la Fondamenta dei Vetrai Marco ha illustrato tutto ciò che le pietre suggerivano alla sua —- ed ha idealmente ricostruito i luoghi perduti di cui si parla nella sua Venezia Impossibile, ambientato in parte proprio a Murano.
La visita è poi continuata al Duomo dei Santi Maria e Donato, fondata forse nel VII secolo, al tempo delle prime immigrazioni dei profughi di terraferma nelle isole. Fu dedicata dapprima a S. Maria e  assunse solo dopo il 1125 il titolo di S. Donato, in seguito al trasporto da Cefalonia del corpo del Santo. Straordinario esempio di architettura veneto-bizantina,  conserva all’interno (a tre navate, divise in cinque colonne per ogni lato),  un pavimento a mosaico con marmi e paste vitree policrome, che presenta affinità tecniche e di disegno con quello di San Marco.
Il catino absidale ospita una notevole Madonna orante a mosaico, opera di un maestro veneto di cultura bizantina della seconda metà del sec. XII,  negli spazi tra le finestre sono presenti affreschi affreschi di area giottesca.
All’esterno la facciata, rispettosa dei canoni ravennati, è relativamente poco appariscente, mentre l’abside, orientata ad est e rivolta verso la fondamenta, si impone come  l’elemento architettonicamente più rilevante dell’edificio.

Sempre sulla Fondamenta dei Vetrai sorge la chiesa di San Pietro Martire, fondata nel 1348 dal doge Marco Michiel e dedicata inizialmente a san Giovanni Battista. Pressoché era anche un convento dei Domenicani con annesso chiostro, mentre il campanile venne terminato solo  nel 1502. Nel 1474 un incendio devastò il tempio, che fu ricostruita nel 1511 nelle forme visibili attualmente, con una nuova attribuzione in onore di San Pietro Martire.

Da un portale rinascimentale aperto sulla facciata in laterizi si accede all’interno, diviso in tre navate. A destra si può ammirare la bellissima cappella della famiglia Ballarin, dedicata a San Giuseppe e a Maria, fatta costruire dal celebre vetraio Giorgio Ballarin (morto nel 1506) per sé, per la sua famiglia e per i suoi discendenti. Qui sorgono infatti anche i monumenti funebri dedicati al Cancellier Grande della Serenissima, Giovanni Battista Ballarin, morto nel 1666 in Macedonia, e a suo figlio Domenico, morto nel 1698, dopo aver ricoperto il medesimo incarico.
Fra tele di maggior interesse artistico conservate in san Pietro vi sono l’Assunzione della Vergine e Santi e Il doge Barbarigo presentato alla Vergine e al Putto di Giovanni Bellini. Ma molte altre sono le opere di pregio (di Tintoretto, Palma il Giovane, ecc.) che la arricchiscono, originariamente collocate in altre chiese  che sono state soppresse a seguito delle riforme napoleoniche. Nel 1813, dopo essere stata a sua volta chiusa e svuotata da tutti i tesori che le appartenevano (1808), San Pietro venne infatti riaperta al culto e ornata con quanto si era potuto salvare dalla razzie dei francesi nell’isola.
È però la sacrestia il luogo dove si conserva il tesoro più prezioso, o quanto meno quello più  singolare e originale, anch’esso frutto di un fortunoso salvataggio dallo scempio voluto da Napoleone. Si tratta dei dossali di San Zuanne, un raro gioiello di scultura lignea barocca proveniente dal complesso di San Giovanni Battista – Ospedale, Chiesa e Scuola – che faceva capo alla Confraternita dei Battuti, situata sulla fondamenta omonima all’innesto meridionale del Canal Grande.
Il complesso, risalente al XIV secolo, fu demolito agli inizi dell’Ottocento e gli arredi vennero distrutti o razziati, ma intorno al 1816 parte della decorazione che adornava la Sala del Capitolo della Confraternita fu recuperata ed adattata alla Sacrestia della Chiesa di San Pietro Martire, dove appunto ancora oggi si trova. Dell’opera rimangono venti pannelli a bassorilievo che raccontano altrettanti episodi della vita del  Battista – San Zuanne, appunto – alternati a trentatré figure di personaggi allegorici, mitologici o storici dell’antichità classica e biblica, tutti accomunati da un destino tragico e qui caricati da un evidente significato allegorico, forse a monito o a supporto del carattere penitenziale della Confraternita. L’insieme, eseguito dalle  mani sapienti di un artista non solo di grande raffinatezza esecutiva, ma anche in grado di concepire una composizione di straordinario vigore immaginifico, colpisce per l’espressività  e l’intensità emotiva cui i personaggi sono colti nei loro momenti di sofferenza o di ribellione, imponendosi all’attenzione di chi guarda con la forza di un urlo di dolore.

La realizzazione si colloca tra il 1664 (o il 1652?) e il 1672, ma dell’autore, che forse non operò da solo bensì con aiuti,  si hanno notizie scarse e confuse. Pietro Morando, documentato a Venezia dal 1652 al 1672 come intagliatore maestro di Marchiò Molziner, è noto infatti quasi esclusivamente per questi dossali e per aver partecipato assieme a Francesco Fanoli e Zuane Salvetti ai lavori di intaglio della poppa, galleria ed interni della nave pubblica Costanza Guerriera nell’Arsenale. Risulta che avesse una bottega propria nel 1671 e fosse ancora attivo nel 1712.
Marco Toso Borella, che ai dossali ha dedicato un bellissimo libro corredato dalle fotografie di Paolo Lunetta, qui ha intrattenuto a lungo il gruppo, affascinato dalla suggestione dell’opera, e soprattutto catturato dalla passione cui egli ha illustrato, spiegato, formulato ipotesi interpretative originali.

Subito dopo la visita alla sacrestia di San Pietro Martire si è concluso l’incontro con lo scrittore nella sua Murano. Da parte di tutti i partecipanti,  un ringraziamento ed il persistente ricordo di un’esperienza di valore. Possibilmente da ripetere. 

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