Da un certo punto in avanti, non vi è più modo di tornare indietro, è quello il punto al quale si deve arrivare – Franz Kafka ”Aforismi di Zurau”
All’estremo Nord degli Stati Uniti, in Alaska, nei pressi del Denali National Park, lungo il Stampede Trail, accanto al fiume Sushana, giace abbandonato il “Magic Bus” di Chris McCandless alias Alexander Supertramp. Ogni anno centinaia di viaggiatori fanno visita a questo “santuario”, alcuni si perdono e vengono poi ritrovati sani e salvi, in altri casi manca il lieto fine.
Il libro “Nelle terre estreme” scritto da Jon Krakauer, narra vita, morte e “miracoli” di Christopher Johnson McCandless nato il 12 febbraio 1968 e morto di fame in Alaska intorno al 18 agosto 1992.
Krakauer ha ereditato dal padre la passione per le vette più difficili, scrive libri “non fiction”e reportages di sport estremi: infatti la storia di Chris è stata scritta “a caldo” sul giornale “Outside” dopo la scoperta di un cacciatore dei miseri resti di Chris nel Magic Bus.
“Nelle terre estreme”è un libro singolare e triplice, in cui si intrecciano la biografia del protagonista, l’autobiografia dello scrittore e il “martirologio” di viaggiatori che non fecero più ritorno. Brani del diario di Alex Supertramp, citazioni di scrittori da lui amati ( Lev Tolstoj, Henry David Thoreau e Jack London) e di altri autori appassionati dalla Natura Selvaggia, fungono da esergo ai 18 capitoli.
Il viaggio in lungo e in largo negli Stati Uniti è riportato con dovizia di documentazioni sul campo: si ripercorre l’itinerario dalla fuga dall’Università di Atlanta nell’ottobre del 1990, all’abbandono dell’automobile nell’Arizona, al vagabondaggio a piedi o in autostop lungo la costa dell’Oceano Pacifico, si ritorna nel West e ci si imbarca in canoa per il Messico sul fiume Colorado superando rapide nel fondo del Grand Canyon. Vengono registrati i ricordi delle persone che incontrarono Alex Supertramp: la coppia hippy ( Jan Burres e Bob), venditori di libri usati “on the road” che lo accolsero e ospitarono come un figlio agli “Slabs” ( una base militare dei marines dismessa, nel deserto californiano), Wayne Westerberg, amico fraterno e datore di lavoro, con il quale lavorò nei campi agricoli a Carthage nel Sud Dakota; Ron Franz un anziano militare in pensione, residente presso il Salton Sea, che si affezionò talmente a Chris da tentare di adottarlo come ultimo erede e Jim Gallien, un elettricista dell’Alaska, che lo fece salire sul suo furgone fino alla fine della strada.
Dai brani del diario di Chris e dalle incisioni trovate all’interno del Magic Bus traspare una forte personalità, impegnata in una sfida pericolosa, determinata ad affrontare duri sacrifici per vincere. La sua missione era dimostrare che un giovane in gamba poteva vivere nella natura selvaggia, rinunciando agli agi e alle sicurezze della società civilizzata, esaltando la propria individualità.
Il proposito di non comunicare in alcun modo con la sua famiglia è sintomatico del disagio ad essa collegato, pure il fatto di darsi un altro nome e scrivere di sé stesso in terza persona, indica la volontà di bruciare i vincoli familiari alle proprie spalle. Krakauer postula la scabrosa situazione matrimoniale del padre di Chris, come possibile origine della ribelle evasione del figliol “prodigo”.
Il rapporto con il denaro è un altro indizio delle contraddizioni del nostro eroe: prima di partire lascia in beneficenza gran parte della somma destinata al proseguimento dei suoi studi universitari. Quando l’automobile risulta inservibile a causa di un’improvvisa alluvione del Detrital Wash, cela il Winchester e il bagaglio superfluo sotto terra e brucia il gruzzolo rimastogli. Ma per continuare il viaggio dovrà lavorare duramente nei campi del Midwest e cucinare in un fastfood, rivelare il numero di previdenza sociale e anche aprire un conto in banca col suo vero nome. Un passo falso che poteva farlo rintracciare. I genitori avevano sguinzagliato un investigatore sulle sue tracce, ma costui seguiva una falsa pista in Europa.
L’autore racconta di una sua ascensione al Devils Thumb in Alaska nel 1977, evidenziando i rischi mortali che comporta un’impresa solitaria in terre inospitali, attribuendo la sua salvezza alla buona sorte. Porta alla luce anche numerosi casi di avventurieri che conclusero la loro odissea tra le nevi d’Alaska o tra le rocce desertiche del South-West: dal veterano del Vietnam al “sindaco di Hippie Cove” ritrovato con un coltello nel cuore, dall’alpinista scomparso tra i ghiacciai del Denali al fotografo tramutato in statua dal gelo artico.
Krakauer rende omaggio alla breve ma intensa esistenza di Chris, componendo un mosaico di voci amiche ( le persone che lo incontrarono durante il viaggio) o scettiche e ciniche ( in special modo i coriacei abitanti dell’Alaska che puntano il dito sulla sua ingenuità ed inesperienza). Il lettore alla fine ha tutti gli elementi per capire il valore di una vita libera e il conseguente alto prezzo.
INTO THE WILD
Sean Penn, figlio d’arte (il padre regista e la madre attrice) lesse “Nelle terre estreme” attratto dalla foto in copertina in bianco e nero che mostrava il Magic Bus emergente dalla neve (nell’edizione italiana invece compare il manifesto del film), affascinato dalla cinematografibilità della vicenda, comprò subito i diritti cinematografici da Krakauer. Scritta la sceneggiatura, la sottopose all’esame
della famiglia McCandless, ma dovette aspettare ben dieci anni prima di poter iniziare le riprese.
Girato quasi tutto in esterni ( una trentina di località in giro per gli Stati Uniti), la fotografia è opera di Eric Gautier (direttore della fotografia di un classico del genere “on the road”, il mitico “I diari della motocicletta” – 2004 – di Walter Salles sulla scoperta del Sud America da parte di Ernesto Guevara de la Serna e dell’amico Alberto Granado) e costituisce uno dei pregi di questo film.
Un altro punto di forza è l’interpretazione in stato di grazia del protagonista da parte del giovane Emile Hirsch: trasmette determinazione e candore, esaltazione trascendentale e vulnerabilità fisica.
La sequenza della caccia all’alce e del successivo tentativo disastroso di utilizzarne la carne, provoca un senso di raccapricciante senso di colpa come per un peccato compiuto controvoglia.
Notevole anche la scena in cui il denutrito e scheletrico Supertramp si imbatte nell’orso e l’animale lo fiuta ritraendo il muso schifato, lasciando l’uomo condannato alla sua solitaria agonia.
Penn sceglie lo stile antinarrativo del libro, montando le sequenze in ordine non cronologico, alternando sequenze di viaggio di Chris a flash-back relativi alla festa di laurea e alla disperazione dei suoi genitori. Indulge ad uno inopportuno manierismo denominato “split-screen”: vale a dire dividere lo schermo in due parti per mostrare contemporaneamente più azioni.
La pervasiva colonna sonora firmata da Michael Brook, le vecchie canzoni “da strada” come “King of the road” di Roger Miller o le nuove di Eddie Vedder più che fare da sfondo sonoro soverchiano i rumori ambientali e interrompono la fascinazione visiva. Apprezzabili invece le esibizioni canore della giovane Hippie interpretata da Kristen Stewart e del vecchio Hobo baffuto ( uscito dalla cella per intercessione di Penn, giusto in tempo per cantare) perchè inserite nel contesto della festa libertaria ai confini desertici della civiltà.
Il senso di trita ridondanza è accentuata nella versione italiana del DVD, nel quale compaiono sullo schermo:il testo scritto di alcune canzoni, brani del diario e alcune frasi dei campioni letterari cari al protagonista.
Malgrado i suoi difetti il film vale la visione per la tensione ideale verso una vita più semplice, meno condizionata dal materialismo e più rispettosa dell’ambiente naturale. Nello stesso periodo in cui Penn lavorava al suo film – 2007 – Ron Lamoth , girava un documentario “Il richiamo della foresta” su Christopher McCandless, giungendo ad una conclusione differente rispetto sia a Krakauer sia a Sean Penn.